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E' tempo di fare gli Stati Uniti d'Europa

 


  • Il quadro politico dopo la rielezione di Trump
  • La situazione europea
  • Il ruolo dei federalisti europei

Il quadro politico dopo la rielezione di Trump

La rielezione di Trump alla Casa Bianca cambia il quadro politico in modo radicale. Gli USA si preparano ad una svolta profonda nella politica interna e in quella internazionale rispetto al passato anche recente. Per l’Europa lo scenario che si prospetta non è più quello di doversi confrontare con un’Amministrazione americana che persegue i propri interessi anche a discapito dell’UE (come è stato con Biden sul piano economico, ad esempio con l’IRA, o su quello commerciale, con la conferma dei dazi che aveva istituito Trump). Non è neanche più il fatto che gli USA spostano il baricentro del proprio interesse verso il Pacifico e cercano di diminuire il proprio contributo per la sicurezza e la stabilità europea, chiedendo maggiore impegno agli europei. Con Trump, che questa volta ha un enorme potere, si inaugura una nuova era che mette fine all’obiettivo (per quanto perseguito in modo sempre meno efficace) di costruire un ordine mondiale fondato sulle regole e sul multilateralismo. Un quadro in cui gli Stati Uniti sono fautori di un nazionalismo aggressivo e del confronto di potenza puro, in cui il Presidente si propone di indebolire la forza del governo federale, di deregolamentare al massimo l’economia e la finanza, in cui anche l’autonomia della Federal Reserve si ritroverà minacciata, e in cui si esaltano e si promuovono i peggiori istinti e comportamenti, fomentando odio, paura, razzismo, maschilismo.

In questo nuovo contesto l’UE è in forte pericolo. È difficile prevedere se e quando si troverà da sola a fronteggiare l’aggressione di Putin e in generale la questione della propria sicurezza, ma quello che è certo è che questo momento rischia di arrivare nel modo peggiore, ossia con la Russia che minaccia o addirittura aggredisce un Paese membro dell’UE. Sappiamo bene che l’UE è del tutto impreparata, che recuperare il suo ritardo tecnologico, industriale, logistico richiede tempi incompatibili nel caso in cui si dovesse trovare da sola contro l’aggressione russa, senza più il pieno sostegno americano all’interno della NATO. Allo stesso modo è praticamente certo che Trump accelererà sull’IA e non lo farà con attenzione all’utilizzo etico delle nuove tecnologie; anche in questo ambito, pertanto, il ritardo e la dipendenza europea sono altrettanto pericolosi. Un’altra arma nelle mani di Trump saranno i dazi che andranno a colpire i settori maturi in cui l’UE è forte e in cui esporta negli USA; in generale, le misure di politica commerciale della nuova Amministrazione rischiano di mettere in ginocchio un’economia fortemente esportatrice come è quella europea. Tutto questo si inserisce in un nuovo corso americano in cui l’Unione europea, proprio come Mercato unico, viene vista come un ostacolo da eliminare sulla via di un’egemonia che non vuole confrontarsi con un interlocutore capace di reagire. La coincidenza di interessi tra Trump e Putin in questo è, ancora una volta, particolarmente pericolosa. Da parte statunitense, sicuramente ci sarà il tentativo di usare il proprio enorme potere per trattare bilateralmente con i singoli Stati europei e dividere il fronte europeo per indebolirlo; ed è proprio Draghi che spiega bene come le politiche commerciali estere nazionali degli Stati membri vadano già oggi – in assenza di pressioni politiche, come semplice miope tentativo di perseguire i propri interessi particolari – a sminuire l’impatto delle politiche decise a livello europeo.

La situazione europea

L’Unione europea è da tempo in declino e inadatta a proteggersi e svilupparsi nel nuovo quadro mondiale in cui sono venute meno le condizioni favorevoli su cui aveva scommesso (il terzetto composto dallo sbocco del mercato cinese per le esportazioni, dall’energia a basso prezzo dalla Russia e dalla sicurezza garantita dagli americani). I segnali dell’insoddisfazione degli stessi europei verso l’UE sono presenti da tempo, dai tempi della crisi finanziaria ed economica a partire dal 2010 e dall’esplosione della questione migratoria: tutte crisi che hanno fatto perdere consenso verso il progetto europeo, oltre a minare la democrazia a livello nazionale. Di fronte a questa debolezza dell’UE e del suo modello tecnocratico (per usare la definizione di Draghi, che sempre ci ricorda la necessità di superarlo, perché ormai del tutto inadeguato) c’è stata una reazione interna all’UE: da parte degli Stati membri prima reagendo uniti di fronte alla sfida della Brexit, sostenendo lo sforzo delle istituzioni europee a non cedere ai ricatti britannici; poi con il COVID, accordando alla Commissione un potere di rappresentanza per l’acquisto comune dei vaccini sostanzialmente non previsto nei Trattati, e poi facendo la prima scelta di solidarietà attraverso un debito comune e varando il Next Generation EU. I governi però non hanno mai saputo prendere in considerazione una riforma dei Trattati per creare una sovranità europea condivisa, e mantenendo l’UE debole politicamente hanno lasciato spazio alla crescita delle forze nazionaliste e illiberali che disgregano l’Unione dall’interno.

Da parte loro le istituzioni europee hanno colto invece l’occasione della Conferenza sul Futuro dell’Europa promossa da Macron per aprire un dibattito senza tabù sul futuro dell’UE e arrivare, con il coinvolgimento diretto dei cittadini europei, a proporre una radicale revisione del sistema politico-istituzionale europeo. Il Parlamento europeo, per la prima volta dopo il Progetto di Trattato promosso da Spinelli quarant’anni fa, ha lavorato sulle conclusioni della CoFoE per proporre una radicale modifica dei Trattati, in grado di avviare la nascita di un’Unione federale, ed è riuscito a farla arrivare sul tavolo del Consiglio europeo, in base alle procedure previste dai Trattati. Da parte sua, la Commissione europea di Ursula von der Leyen, che sembra consapevole della necessità di un rafforzamento dei poteri delle istituzioni europee, ma è stata finora bloccata dall’opposizione degli Stati, ha lavorato su questo fronte commissionando un rapporto sul completamento del Mercato unico, affidato a Enrico Letta, che ha mostrato i passi ancora da fare persino per rendere davvero efficiente il Mercato europeo; e due rapporti, uno sulla competitività, l’altro sulla sicurezza, a personalità riconosciute per la loro autorevolezza (Draghi e Niinistö), nella consapevolezza che avrebbero certificato non solo la necessità di cambiare passo nelle politiche europee, ma anche l’urgenza di ripensare e modificare l’intero sistema decisionale e finanziario dell’UE.

Di fronte alla necessità di reagire al nuovo quadro creato dall’elezione di Trump, l’UE e i suoi Stati membri hanno dunque ormai a disposizione tutti gli strumenti per capire i punti di debolezza del sistema europeo e per affrontarli. Ora è essenziale che anche nei governi nazionali più avanzati in merito alle posizioni europee si affermi la consapevolezza che è venuto il momento, se gli europei vogliono garantirsi la sicurezza e riguadagnare la competitività perduta, di elaborare una strategia complessiva (multi-politica, come la definisce Draghi) dotandosi di strumenti europei adeguati di governo e di finanziamento per mettere in atto le politiche necessarie. Questo passaggio è impossibile che avvenga inizialmente con il consenso di tutti i 27 Stati membri, e questo significa che l’UE deve anche predisporsi a strutturarsi su diversi livelli di integrazione. Vi rimando a questo proposito al Quaderno federalista 1-20024 sul Rapporto Draghi “Cosa serve all’Unione europea per fermare il declino e riprendere controllo del proprio destino”.

Il ruolo dei federalisti europei

Nel corso del processo europeo, in molte occasioni i federalisti hanno dovuto portare avanti battaglie anche di lungo periodo da soli. Oggi la situazione è radicalmente diversa. A fronte della palese, totale inadeguatezza dei singoli Stati europei nel nuovo quadro mondale, l’Europa stessa deve saper affrontare sfide esistenziali che minacciano di distruggere la sua democrazia e la sua libertà, insieme all’intero edificio dell’UE, e deve farlo subito, senza poter più procrastinare le decisioni. Nel frattempo, il federalismo di Spinelli e Albertini – il federalismo dei federalisti organizzati – è tornato ad essere il punto di riferimento quando si pensa davvero il cambiamento che serve all’Europa. Questo è un merito del nostro lavoro, come MFE e come UEF – che ha potuto emergere grazie al processo innescato dalla CoFoE che le nostre organizzazioni hanno saputo egemonizzare sul piano politico – che dobbiamo avere in mente, per capire i fatti e il processo in corso.

Oggi quindi rimane immutato il nostro ruolo di avanguardia per identificare i punti precisi che trasformano la situazione di potere da nazionale a europea e per indicare la via per realizzarli; ma non siamo più soli o isolati, abbiamo contagiato la componente più avanzata e consapevole all’interno delle istituzioni europee e delle forze politiche pro-europee. Lo dimostrano da un lato il fatto che all’interno del PE il Gruppo Spinelli si batta con noi (e grazie a noi) per portare anche il nuovo Parlamento a ribadire la richiesta della riforma dei Trattati – influendo sui partiti, tanto che per la prima vota è stato concordato per iscritto un patto di legislatura tra le tre maggiori forze pro-europee che include l’impegno per la riforma dei Trattati –; e, dall’altra, il fatto che la Commissione basi la sua agenda su due rapporti sulla competitività e la sicurezza che dimostrano come il problema dell’UE sono il modello tecnocratico che deve essere sostituito da quello politico, la frammentazione e l’insufficiente integrazione, la mancanza di una testa politica sovra-nazionale. In questo momento, soprattutto per la reazione innescata dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, non ci sono strategie da inventare; bisogna solo continuare a sostenere quello che è già in campo, e fare in modo che il potere costituito con la sua inerzia e il suo istinto a preservarsi non trovi la forza di dirottare il processo su false soluzioni (come le cosiddette unioni dell’energia, o della difesa, sia inadeguate per dotare l’UE di una propria autonomia strategica che si può raggiungere solo mettendo in campo tutta una serie di “multi- politiche” – basti pensare alla necessità di costruirle nel quadro di una vera politica estera europea -, sia irrealistiche da creare senza un cambio dei Trattati). Il dibattito, sia europeo sia nazionale tra le forze europeiste, del resto si sta già sviluppando attorno all’esigenza di un cambio radicale di paradigma dell’UE e alla necessità di costruire una sovranità democratica europea, come ci dicono la risoluzione del Parlamento europeo, i Rapporti di Draghi e Niinistö, le stesse reazioni di governi più avanzati.

Questo del cambiamento profondo – che deve portare l’UE ad avere natura statuale, pur nella sua specificità politica e istituzionale di Unione federale, dotandosi di un governo democratico e autonomo nelle sue competenze – è dunque il punto da tenere per indirizzare le forze pro-europee sul terreno corretto. Questo non significa che la Convenzione sarà necessariamente il primo passo. Da un lato, l’urgenza di rivedere i meccanismi di finanziamento comuni per reperire nuove risorse non disponibili a livello nazionale potrà spingere a cercare di fare nuovo debito europeo “dedicato”, sia per potenziare l’industria della difesa o altri settori tecnologici strategici, piuttosto che per recuperare il gap di produttività o per accompagnare la decarbonizzazione e renderla sostenibile; e magari su questo si registrerà la frattura del quadro a 27. Può darsi che la Commissione - chiamata dal Consiglio europeo a presentare entro la prima metà del prossimo anno proposte sulla riforma della governance europea in preparazione all’allargamento, insieme a misure per affrontare la questione della competitività e della sicurezza - abbia la capacità di avanzare proposte importanti, che potrebbero anche spaccare gli Stati e spingere il gruppo più avanzato ad andare avanti. D’altro lato, è molto probabile che presto ci si trovi di fronte agli sbandamenti di alcuni Stati membri, che cercheranno rapporti privilegiati con l’Amministrazione Trump mettendo a rischio la coesione europea; anche in questo caso potrebbe esserci una reazione dei governi più ancorati ai valori europei che potrebbero reagire con avanzamenti comuni su determinati strumenti.

La questione, però, in queste ipotesi, rimane che questi strumenti devono essere portati all’interno di un nuovo quadro giuridico perché siano sostenibili; e il fatto di avere a disposizione la possibilità di avviare la Convenzione con tutti i suoi pregi resta il punto decisivo. Per questo, come fece Spinelli con la CED, noi non ci battiamo perché i governi si orientino verso qualche proposta o strumento intergovernativo, dato che questa è la cosa che sono per loro natura portati a fare; noi mobilitiamo le forze vive della società per creare coscienza che la soluzione è il passaggio all’unione politica federale, e che è questa la richiesta che deve partire dal basso per incontrare chi questa battaglia – più o meno palesemente – la sta facendo nelle istituzioni.

Come MFE avremo un ruolo importante da svolgere anche in Italia. Il nostro governo, con le sue ambiguità non risolte, ma, anzi, approfondite, è a rischio in questa nuova fase che si apre. Dobbiamo monitorare e denunciare, e spronare le opposizioni ad usare la questione europea come terreno di confronto e di critica privilegiato, anche in vista della possibilità di un prossimo coinvolgimento del Parlamento italiano nella battaglia sulla riforma dell’UE.
 


 


Il FC dell’UEF riunito a Budapest il 16 novembre 2024….

Pertanto, invita

    • il Parlamento europeo eletto nel giugno 2024
      • a proseguire la battaglia iniziata nella precedente legislatura per l'apertura di una Convenzione per la riforma dei Trattati, come proposto nella Risoluzione del Parlamento europeo del novembre 2023, adottando una risoluzione in plenaria sulla questione insieme alle altre questioni istituzionali incompiute, come la legge elettorale, i poteri d'inchiesta del Parlamento europeo ai sensi dell'articolo 226 del TFUE, la revisione dell'Accordo quadro del 2010 e il regolamento sui partiti politici europei e le loro fondazioni politiche;
      • utilizzare i suoi poteri in materia di adozione del bilancio per costringere i governi a prendere atto della sua richiesta di modifica del trattato ai sensi dell'art. 48 TUE 48 TUE;
      • portare il Consiglio europeo davanti alla Corte di giustizia europea nel caso in cui continui a ignorare la richiesta di modifica del Trattato in violazione del principio di leale cooperazione;
    • la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen
      • a collegare le priorità politiche evidenziate dai Rapporti Letta, Draghi e Niinistö, commissionati dalla stessa Commissione, con la proposta del Parlamento europeo per la riforma dei Trattati e la convocazione della Convenzione, poiché gli obiettivi del primo non possono essere raggiunti senza le grandi riforme delineate nel secondo;
      • a unire le forze con il Parlamento europeo per fare pressione sul Consiglio europeo affinché si pronunci sull'avvio della riforma dei Trattati;
      • a rafforzare la democrazia a livello europeo portando avanti le proposte di riforma presentate nella precedente legislatura, in particolare per quanto riguarda la circoscrizione elettorale a livello di Unione e la relativa procedura elettorale uniforme per le elezioni europee.

Parallelamente, l'UEF chiede

ai governi europei consapevoli della necessità e dell'urgenza di rafforzare la capacità d'azione dell'Europa di prendere l'iniziativa e di iniziare a proporre misure concrete volte a una maggiore integrazione nei settori del bilancio, della politica estera e di difesa e della politica industriale, che saranno applicabili quanto prima

e ricorda

che solo agendo con la consapevolezza che è necessario costruire una vera unione politica - che non può che essere federale - i governi europei potranno fare veri progressi sulla strada del rafforzamento dell'UE; e che quindi iniziative settoriali non accompagnate dalla volontà di costruire una maggiore integrazione anche in altre aree strategiche non raggiungeranno il risultato necessario;

Pertanto, il FC impegna le sezioni dell'UEF

    • a mobilitarsi per sostenere dal basso le richieste politiche di cui sopra, a partire dall'urgenza di convocare una Convenzione per la riforma dei Trattati, in sinergia con il Gruppo Spinelli;
    • a mobilitarsi per creare un fronte a sostegno delle rivendicazioni federaliste, coinvolgendo amministrazioni locali, associazioni di categoria, politici a tutti i livelli, associazioni della società civile, cittadini.


  


Segreteria nazionale

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C.F. 80010170183 - Tel.: 0382 530045 - Email: mfe@mfe.it

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