La crisi del Mercato comune europeo e il gradualismo costituzionale
Il contesto
I sei paesi della CEE eliminano, nel 1968, i dazi doganali sui beni importati da ognuno di essi, rendendo liberi per la prima volta gli scambi transfrontalieri. Inoltre, applicano gli stessi dazi sulle loro importazioni dai paesi esterni. Gli scambi commerciali tra questi 6 paesi e con il resto del mondo crescono rapidamente.
Completata l’integrazione economica negativa (l’eliminazione degli ostacoli alle libertà di movimento), si pone la necessità di avviare lo sviluppo di un’integrazione positiva (cioè delle politiche pubbliche europee necessarie per affrontare gli squilibri regionali, sociali e settoriali che gli automatismi di mercato non sono in grado di correggere), soprattutto a seguito della crisi petrolifera del 1972.
L’analisi politica del MFE
Il successo del Mercato comune creava una situazione che, pur sembrando confermare ai governi la validità della scelta funzionalistica, creava, di fatto, una contraddizione sempre più acuta fra l’avanzamento dell’integrazione economica e il blocco dell’evoluzione istituzionale comunitaria.
Ciò rendeva sempre più intollerabili i deficit di efficienza e di democrazia, ma soprattutto dimostrava l’impossibilità del passaggio automatico dall’integrazione economica a quella politica: si manifestò così una convergenza, sul tema dell’elezione europea, fra l’europeismo presente nei partiti democratici e l’azione federalista.
L’azione del MFE
Di fronte alla situazione di stallo che si andava creando, i federalisti italiani, sotto la guida di Mario Albertini, adottarono una nuova strategia: quella del “gradualismo costituzionale”, basata sull’idea di spingere i governi nazionali ad adottare riforme istituzionali europee che, rafforzando un limitato aspetto istituzionale dell’Europa, creassero contraddizioni che, per essere superate, avrebbero imposto nuovi progressi istituzionali.
Il primo passo in questa direzione fu individuato nell’elezione diretta a suffragio universale del Parlamento europeo come la via per permettere alla volontà popolare di inserirsi nel processo di integrazione e di stimolarne il rilancio.
La decisione dell’elezione diretta del Parlamento europeo
Il contesto
Nel 1976, dopo la caduta di De Gaulle e di fronte alle sempre maggiori difficoltà del Mercato comune, che il Vertice dei capi di Stato e di governo decise di indire l’elezione diretta dei membri del Parlamento europeo. Le prime elezioni si tennero nel 1979.
L’analisi politica del MFE
L’elezione diretta, pur non accompagnata dalla contestuale attribuzione di poteri reali al PE, avrebbe avuto un oggettivo significato costituente.
Essa infatti, inducendo la formazione di un sistema europeo dei partiti e la legittimazione popolare del PE, avrebbe spinto quest’ultimo all’assunzione di fatto di un ruolo costituente, dal momento che l’avanzamento dell’integrazione economica poneva i governi di fronte a problemi (la politica congiunturale, l’unificazione monetaria, la programmazione a livello europeo, i prezzi agricoli, e così via) che non potevano essere efficacemente risolti senza avviare la costruzione di un governo democratico europeo.
L’azione del MFE
I momenti più significativi di questa mobilitazione furono:
– la presentazione al Senato italiano nel 1969 di una proposta di legge di iniziativa popolare (fu la prima presentata in Italia) per l’elezione diretta dei rappresentanti italiani nel PE, firmata da circa 65.000 cittadini; questa iniziativa fu ripresa nel 1973 dalle Regioni Piemonte, Umbria e Abruzzo con la presentazione alle Camere di proposte di legge di iniziativa regionale identiche a quella presentata dal MFE al Senato;
– la Campagna di informazione e dibattito sull’elezione europea e l’unione europea (svolta nel 1975 in connessione con la Missione del premier belga Tindemans diretta a far progredire l’integrazione europea) che ebbe come suoi aspetti più importanti una petizione popolare al PE a favore di un suo ruolo costituente firmata da 150.000 cittadini e una manifestazione a Roma, in occasione del Consiglio europeo dell’1-2 dicembre 1975, a cui parteciparono 4.000 federalisti,: una delegazione de federalisti fu ricevuta dal presidente del Consiglio, Aldo Moro;
– l’organizzazione (fra il 1976 e il 1978) di una sistematica azione sui partiti per spingerli a inserire nei loro programmi per le elezioni europee l’impegno a favore di una riforma in senso federale del sistema comunitario;
– la manifestazione a Strasburgo il 17 luglio 1979 di fronte alla sede del PE in occasione della prima seduta dopo l’elezione di giugno a cui parteciparono 5.000 giovani europei in rappresentanza delle organizzazioni federaliste e delle forze democratiche, e in cui si chiese al PE di impegnarsi a favore di un governo europeo, di una moneta europea, di un forte bilancio comunitario.