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L’Euro è stato innanzitutto un progetto politico rivoluzionario, che ha messo in sicurezza l’edificio europeo nel momento in cui la fine dell’equilibrio bipolare erodeva tutti i pilastri su cui era fondata la Comunità europea. Venute meno queste fondamenta, senza il traguardo della moneta unica da perseguire, a partire dalla fine degli anni Ottanta, e senza l’Euro dalla fine degli anni Novanta, l’edificio europeo difficilmente avrebbe potuto sopravvivere nel nuovo mondo globale.

L’Euro ha festeggiato lo scorso 1° gennaio il suo 20° anniversario.  Si tratta di un grande successo, di cui gli Europei devono essere giustamente fieri. L’Euro è stato innanzitutto un progetto politico rivoluzionario, che ha messo in sicurezza l’edificio europeo nel momento in cui la fine dell’equilibrio bipolare erodeva tutti i pilastri su cui era fondata la Comunità europea: la profonda coincidenza di interessi con gli USA, il legame ideologico comune creato dalla guerra fredda, il quadro geopolitico stabile e perfettamente delineato, la condizione di sovranità mutilata della Germania e la supremazia politica della Francia – entrambi elementi  determinanti nel rapporto tra i due Paesi motore del processo. Venute meno queste fondamenta, senza il traguardo della moneta unica da perseguire, a partire dalla fine degli anni Ottanta, e senza l’Euro dalla fine degli anni Novanta, l’edificio europeo difficilmente avrebbe potuto sopravvivere nel nuovo mondo globale.

Anche se i suoi “padri fondatori”, da Kohl a Delors, erano per primi convinti che fosse una costruzione incompleta e che dovesse essere al più presto rafforzata e portata a compimento, attraverso l’unione di bilancio e l’unione economica e sociale - e per Kohl anche l’unione politica –, l’Euro ha mantenuto una parte importante delle sue promesse in questi anni: non solo è diventata la seconda valuta mondiale e ha reso possibile lo sviluppo del più grande mercato unico nel mondo, ma ha eliminato il problema dell’inflazione in Europa e ha costretto i governi abituati a giocare slealmente con la debolezza della moneta nazionale a correggere i propri comportamenti, anche se non è bastato a spingerli a confrontarsi con la sfida della competitività. In questo modo ha accresciuto enormemente l’interdipendenza tra i Paesi europei e rafforzato la resilienza del sistema stesso e il legame da parte dei suoi membri.

Oggi, però, a quasi dieci anni di distanza dall’inizio della crisi finanziaria ed economica che ha costretto gli europei a confrontarsi con i limiti dell’Unione monetaria costruita a Maastricht, è più che mai necessario per gli Europei fare un bilancio, e prepararsi alle nuove sfide. Se la crisi infatti ha dimostrato che l’Euro è più solido e più resistente di quanto i suoi critici credessero, è vero anche che ha rivelato il fatto che l’Euro è stato meno efficace nel promuovere la convergenza e la competitività dei suoi membri di quanto i suoi sostenitori non avessero ipotizzato.  Il risultato è che oggi gli Europei sono più divisi politicamente, e quindi più deboli, di quanto non lo fossero nel momento in cui hanno dato vita alla moneta unica; e devono capire perché questo accade e come ovviare.  

Il problema è tutto politico, ed è nel sistema zoppo che caratterizza l’Unione monetaria. Se fosse stata creata un’unione politica federale (che tutti vedevano come necessaria al momento dell’avvio della moneta unica), le competenze e i poteri delle istituzioni europee sarebbero ben delimitati ma reali, e i cittadini sperimenterebbero il legame diretto con queste ultime, sia nel senso di essere direttamente sottoposti alle loro decisioni, sia di poterle controllare attraverso il voto e la dinamica piena parlamentare (e il tutto sarebbe coordinato con i livelli inferiori di governo, che a loro volta continuerebbero ad esercitare le loro prerogative di fronte ai propri cittadini); la democrazia e l’efficacia del governo sarebbero pertanto garantiti. Il sistema europeo, invece, è tale per cui gli Stati condividono la sovranità monetaria ma non quella economica e politica, e ciò crea una serie di cortocircuiti (che poi alimentano la nascita e la diffusione delle forze populiste e nazionaliste): i) il livello sovra-nazionale resta zoppo e in balia, politicamente, del volere dei governi nazionali, che hanno interessi spesso divergenti e indeboliscono l’azione delle istituzioni comunitarie; ii) i governi nazionali sono costretti ad agire all’interno di un quadro molto vincolante, indispensabile per il funzionamento del sistema europeo così concepito e fatto di di regole necessarie, ma che spesso costringono a compiere scelte politiche impopolari nel breve periodo; iii) i cittadini vivono l’esperienza di due livelli di governo (quello nazionale e quello europeo intergovernativo) che si indeboliscono a vicenda, invece di fare sinergia, e che perseguono pertanto politiche spesso deboli e inadeguate; iv) infine la democrazia si esercita in senso pieno solo a livello nazionale, ed è in gran parte svuotata dalla dinamica appena descritta.

La soluzione non può dunque che essere, a sua volta, politica; a maggior ragione per il fatto che, di fronte a questa debolezza dell’Europa, cresce nel mondo la brama delle vecchie e nuove potenze di spartirsi la ricchezza  del nostro continente. Oggi, il nostro modello di economia sociale di mercato fondato sulla liberaldemocrazia, e i nostri valori di civiltà e di libertà, sono minacciati. Non è più tempo per gli Europei di rimandare il completamento dell’edificio avviato 20 anni fa: con i Paesi disposti a costruire l’unione politica, è venuto il momento di creare attorno all’Euro le basi per una potenza economica e politica globale che si faccia portatrice di un modello di unità, di pace, di liberà, di solidarietà e di difesa dei valori universali della nostra civiltà.

 

  


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