Il rapporto sul completamento dell’Unione economica e monetaria, scritto dal Presidente Juncker in collaborazione con gli altri quattro Presidenti (Consiglio europeo, Eurogruppo, BCE, Parlamento europeo), è una presa d’atto dell’impasse in cui è bloccato il processo a causa della mancanza di volontà politica e del consenso tra i governi nazionali per procedere a nuove cessioni di sovranità.
Il documento, infatti, anziché rilanciare e precisare le concrete fasi di attuazione per realizzare le quattro unioni (bancaria, fiscale, economica e politica) delineate dal precedente rapporto nel 2012, nella prima parte ne analizza e ribadisce la necessità e l’urgenza, ma poi non fornisce alcun contributo e non indica alcuna roadmap concreta. Non vengono definiti i tempi e modi per un trasferimento di sovranità dal livello nazionale a quello europeo né in campo fiscale, né per governare le politiche di bilancio e per lo sviluppo, né vengono indicati i meccanismi e gli strumenti di solidarietà a sostegno delle politiche mirate al raggiungimento della convergenza economica attraverso le riforme strutturali. Il rapporto, si limita ad indicare la condivisione di nuove regole e standard tra sistemi nazionali, alimentando l’illusione che la soluzione alla crescente divaricazione all’interno dell’eurozona sia esclusivamente un problema di autodisciplina da parte degli Stati membri e ignorando il pericolo della crescente ondata populista che guadagna consensi a scapito dei governi che si assumono il compito impopolare di cercare di modernizzare il proprio paese.
Le indicazioni contenute nel rapporto ripropongono quindi nell’immediato solo un rafforzamento del coordinamento delle politiche nazionali e della cooperazione intergovernativa – nonostante il Presidente della BCE abbia ripetuto più volte chiaramente che senza un salto qualitativo, senza istituzioni comuni, senza una maggiore condivisione di sovranità, questo sistema non reggerà. Senza quindi modificare “il quadro di governance vigente”, e limitandosi a cercare di rafforzarlo mediante la creazione di un sistema di Autority per la competitività e di renderlo più democratico tramite un maggiore – ma ancora insufficiente – coinvolgimento del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, gli Stati, ancora piegati dalla crisi, dovrebbero realizzare in meno di due anni la convergenza economica e l’aumento della competitività nell’area euro che non sono riusciti a realizzare nei quindici anni passati.
Solo a partire dal 2017, e a condizione che i risultati raggiunti dagli Stati siano stati soddisfacenti, “il processo di convergenza dovrebbe diventare più vincolante (....) fissando un insieme comune di standard di alto livello definiti nella normativa dell’UE, dato che verrebbe condivisa la sovranità sulle politiche di interesse comune e verrebbe creato un forte processo decisionale a livello della zona euro”..... “I progressi verso tali standard verrebbero controllati regolarmente. In tale contesto si continuerebbe a utilizzare le raccomandazioni specifiche per paese. Inoltre, la procedura per gli squilibri macroeconomici potrebbe essere utilizzata come strumento non solo per evitare e correggere gli squilibri, ma anche per promuovere le riforme e controllare i progressi compiuti in ciascuno Stato membro della zona euro verso il conseguimento degli standard comuni. La convergenza significativa e continua verso economie parimenti resilienti dovrebbe costituire la condizione per l’accesso ad un meccanismo di assorbimento degli shock da creare per la zona euro”.
Oltre alla creazione di un meccanismo di assorbimento degli shock per la zona euro (lasciato volutamente nel vago e definito solo in negativo, per rassicurare sui rischi di moral hazard), il rapporto ipotizza nel tempo anche la nascita di un Tesoro europeo: “Via via che la zona euro evolve verso un’UEM autentica, sarà sempre più acuta la necessità di adottare alcune decisioni collettivamente, assicurando nel contempo il controllo democratico e la legittimità del processo. Una futura Tesoreria della zona euro potrebbe essere la sede adatta per questo processo decisionale collettivo”. Questo processo di completamento dell’unione economica e di creazione dell’unione politica, che potrà essere definito solo da un nuovo rapporto che si prevede fra due anni, dovrebbe concludersi al massimo entro il 2025.
Alla domanda posta dallo stesso presidente Juncker ai governi nel febbraio scorso, “in che misura l’attuale condivisione della sovranità è adeguata per far fronte alle sfide economiche, finanziarie e fiscali davanti a cui si trova l’Unione economica e monetaria?”, il rapporto quindi risponde nell’introduzione che NO, non è adeguata, ma al tempo stesso, in tutta la parte centrale del testo, non può fare altro che evidenziare il fatto che gli Stati membri dell’eurozona non sono disposti a condividere altra sovranità né a definire un calendario vincolante per farlo.
Gli unici avanzamenti in direzione di una più stretta integrazione e condivisione dei rischi che il rapporto ipotizza, raccogliendoli sotto l’etichetta dell’unione finanziaria, riguardano l’unione bancaria e la creazione di un mercato europeo dei capitali. E’ l’unico settore per cui il rapporto caldeggia avanzamenti effettivi già nella prima fase, ossia entro il 2017. In parte, forse, grazie ai passi già compiuti nella predisposizione dell’unione bancaria e in parte in virtù del ruolo preponderante che gioca come istituzione la BCE, e del coinvolgimento del settore privato, il documento conta molto sul contributo dell’unione finanziaria. Questa, nella prospettiva delineata dal rapporto, dovrebbe rafforzarsi come strumento in grado di garantire il sostegno alla ripresa dell’economia, di accrescere l’integrazione all’interno dell’area euro, di spostare sul settore privato una parte del risk sharing, alleggerendo così il peso per gli interventi pubblici (“un’Unione dei mercati dei capitali ben funzionante rafforzerà la condivisione transfrontaliera del rischio mediante l’approfondimento dell’integrazione dei mercati obbligazionari e dei mercati azionari, che è un importante ammortizzatore di shock. Mercati dei capitali veramente integrati fornirebbero altresì un cuscinetto contro shock sistemici nel settore finanziario e potenzierebbero la condivisione dei rischi del settore privato tra i paesi – L’aumento dei flussi d’investimento transfrontalieri dovrebbe, in via di principio, determinare una maggiore condivisione dei rischi nel settore privato, per due motivi: 1) un portafoglio di attività finanziarie maggiormente diversificato su base geografica, comprensivo di titoli azionari e obbligazionari di società, offre rendimenti meno volatili e meno legati al reddito nazionale (condivisione del rischio tramite il canale dei mercati dei capitali); 2) quando un paese subisce uno shock economico, i flussi transfrontalieri dovrebbero consentire ai soggetti ivi residenti di erogare o assumere prestiti per compensare lo shock (condivisione del rischio tramite il canale del mercato creditizio). Ciò riduce a sua volta il volume di condivisione dei rischi che deve essere realizzato mediante mezzi finanziari (condivisione pubblica dei rischi)”. In questo modo, sembra di leggere tra le righe, si spera anche di creare le condizioni per incentivare gli Stati, e accrescerne il consenso, verso i successivi approfondimenti delle istituzioni e dei meccanismo di redistribuzione. A questo proposito si può notare che, se anziché prevedere tutti quei passaggi, si istituisse un sistema federale, con un mercato dei capitali integrato per effetto dell’emissione di titoli pubblici federali, il risk-sharing tra settore pubblico e privato verrebbe automaticamente minimizzato.
La realtà dei fatti e le prossime inevitabili crisi, dimostreranno presto tutta la fragilità e la precarietà di questa strategia, che punta a procrastinare le decisioni e a dilazionare i tempi per conservare lo status quo. Una strategia che non solo ostacola la costruzione dell’Europa, ma che, non risolvendo i problemi e non offrendo rimedi europei, alimenta il malcontento e l’erosione del consenso e della coesione politica e sociale all’interno degli Stati, favorendo l’ascesa dei populismi e dei nazionalismi.
Il MFE rifiuta e condanna questa deriva e continuerà a fare tutto quanto in suo potere per richiamare la classe politica, i governi, le istituzioni e la stessa opinione pubblica alla responsabilità storica di dotare l’Europa dei mezzi, delle risorse e della capacità d’agire necessari per affrontare le sfide continentali e globali di fronte alle quali ci troviamo.
Milano 27 giugno 2015