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Il vero cambiamento

Le due forze politiche che hanno vinto le elezioni del 4 marzo hanno dato legittimamente vita ad un governo. Il Presidente del Consiglio, nel chiedere la fiducia del Parlamento, ha sottolineato che il nuovo esecutivo si propone come il “governo del cambiamento”. In buona sostanza, vi sono due modi di concepire tale cambiamento.

Il primo è quello di attuare una scelta di sapore nettamente nazionalista: rimettere in discussione le alleanze e le appartenenze che hanno accompagnato la storia del nostro Paese nel Secondo dopoguerra, a cominciare dalla partecipazione all'Unione europea e alla stessa Unione monetaria; cercare nuovi riferimenti nell'America di Trump, nella Russia di Putin o nel Gruppo di Visegrad; rimettere in discussione i fondamenti della Costituzione e dello Stato di diritto; impostare una politica economica fondata sul debito pubblico, sul protezionismo e sul parassitismo. In nome del cambiamento si finirebbero così per peggiorare  le condizioni del nostro Paese e per spingerlo verso una crescente marginalità in Europa e nel mondo.

Vi è però un'altra e ben più ardua strada per il cambiamento: lottare contro i mali che affliggono l'Italia e che determinano una crescente sfiducia dei cittadini nel suo futuro. Si tratta di problemi ben noti: la corruzione, l'evasione fiscale, l'inefficienza della pubblica amministrazione e della giustizia, l'enorme fardello del debito pubblico, gli squilibri crescenti tra il Centro - Nord ed il Sud, l'ammodernamento delle infrastrutture e dell'apparato produttivo, una migliore formazione delle risorse umane attraverso la scuola e l'università, l'integrazione degli immigrati.

Illudersi che il Paese abbia le energie per affrontare sfide di queste dimensioni sarebbe davvero un'ingenuità. Il processo di globalizzazione insieme con i mutamenti prodotti da un'impetuosa rivoluzione scientifica e tecnologica sta sconvolgendo tutte le gerarchie tra Paesi, continenti, aree economiche, gruppi e ceti sociali. Solo rimanendo all'interno dell'Unione europea e dell'Eurozona ed esercitandovi un ruolo propulsore, l'Italia può far valere le sue buone ragioni e soprattutto costruire una prospettiva per il proprio futuro. A maggior ragione perché oggi si presenta un'occasione straordinaria.

Grazie all'iniziativa della Francia, che ha dichiarato come “insostenibile” lo status quo ed ha proposto addirittura una “rifondazione” dell'Europa, la Germania sta ammorbidendo le sue posizioni e superando alcune linee rosse definite fin dall'inizio della crisi economico-finanziaria. La dichiarazione congiunta diffusa subito dopo il recente vertice franco-tedesco di Meseberg sancisce queste prime importanti aperture. D'altra parte, il cambio di governo in Spagna offre un'altra sponda ai governi che nel prossimo Consiglio europeo del 28 giugno vogliono ottenere dei progressi sostanziali nei due settori da cui dipende la sopravvivenza stessa dell'Unione: 1) la governance dell'Eurozona, con la formazione di un bilancio autonomo alimentato anche da risorse proprie, la trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità in Fondo monetario europeo, la creazione di un Ministro del Tesoro che sia anche membro della Commissione ed in quanto tale responsabile di fronte al Parlamento europeo, la nascita di un Fondo europeo contro la disoccupazione, il completamento dell'Unione bancaria con la garanzia comune sui depositi; 2) una politica europea dell'immigrazione che mandi in soffitta gli accordi di Dublino, istituisca un comune sistema europeo di asilo, metta in cantiere un ambizioso piano di aiuti per l'Africa, rafforzi Frontex con la creazione di una guardia costiera e di frontiera.

Inutile sottolineare il grande interesse dell'Italia in questi due capitoli che si sono imposti nell'agenda europea per la semplice forza dei fatti. Il Governo italiano può però esercitare il ruolo che gli compete solo se abbandona le facili ricette della campagna elettorale ed anche le incertezze e le ambiguità dei suoi primi passi, nella convinzione che un'Europa unita, democratica e federale sia il primo e supremo interesse della Nazione.

 

  


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