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Una dinamica da cui chi vuol salvare l’Euro e l’Europa – ed il proprio paese - non ha potuto, non può e non potrà prescindere; e che, al di là delle difficoltà di implementarla da parte dei vari attori politici, continua a determinare l’agenda e a delimitare il quadro entro il quale prendere le decisioni in campo europeo e nazionale. La nomina del nuovo Presidente della Commissione europea ed il confronto sul rilancio dello sviluppo non sono sfuggiti e non sfuggono a questa logica (si veda in proposito anche il significativo passaggio nel comunicato finale del Consiglio europeo del 25-26 giugno 2014 sull’interpretazione dell’espressione “ever closer union” in senso sempre più “differenziato” nell’attuale fase dei rapporti con la Gran Bretagna (1)). Come rientra in questa logica l’architettura del programma di presidenza italiana dell’UE. Per quanto riguarda la nomina di Juncker, al di là delle schermaglie che ci sono state su nomi e procedure, essa ha sancito l’isolamento – o l’autoesclusione, poco importa – della Gran Bretagna dai progetti di rafforzamento dell’unione per governare l’euro. Un fenomeno questo innescato dalla crisi e dalle decisioni prese a fine 2011 con il varo del fiscal compact tra 25 paesi (senza appunto la Gran Bretagna e la Repubblica Ceca). Tra rompere con il Parlamento europeo o con la Gran Bretagna, il Consiglio europeo ha scelto di mantenere e approfondire le distanze con quest’ultima. Una scelta di cui innanzitutto la classe dirigente tedesca e la cancelliera Merkel si sono assunte la responsabilità politica, rendendosi conto che sarà con questo Parlamento europeo – forse per un’ultima occasione di rilancio – che le altre istituzioni europee dovranno collaborare in questa legislatura per riformare le istituzioni, come hanno messo in evidenza alcuni lucidi commenti apparsi in proposito (2). Invece, sulla questione del rilancio dello sviluppo e di come coniugarlo con le necessarie riforme in campo nazionale ed europeo, è apparso evidente che la questione non riguarda tanto l’interpretazione o la rinegoziazione dei vari trattati e patti esistenti in materia di stabilità; né riguarda solo la tenuta sotto controllo dei bilanci e di crescita. Bisogna piuttosto superare l’impasse determinata da un lato dalla contrapposizione, tuttora irrisolta, tra paesi più virtuosi che non vogliono finanziare con fondi europei il rilancio delle economie dei paesi meno virtuosi; dall’altro dalla posizione di questi ultimi che non sono in grado di fornire delle garanzie sull’effettiva volontà di tenere sotto controllo il debito e quindi di non far riesplodere la crisi; e infine dall’incertezza sia dei primi sia dei secondi sul come trasferire la sovranità necessaria a livello europeo in campo fiscale e di bilancio per rendere credibile qualsiasi piano di sviluppo davvero europeo.

Il secondo dato riguarda il ruolo dell’Italia, un paese ben lungi dall’aver risolto i propri problemi interni e le proprie contraddizioni ma che, rispetto a solo qualche mese fa, non è più considerato dagli altri partner solo come un rischio in termini di stabilità economica e politica per sé stesso e per l’Europa, ma anche come un interlocutore politicamente più credibile per contribuire a sciogliere i diversi nodi che impediscono di avanzare sul terreno del consolidamento dell’unione monetaria in una vera unione, di creare un governo democratico dell’euro e di prendere un’iniziativa insieme a Francia e Germania – a livello governativo, parlamentare e nelle istituzioni europee – per andare oltre il Trattato di Lisbona. Si tratta evidentemente di una possibilità, non di una certezza. Ma è una possibilità che apre nuove prospettive, e implica anche nuove responsabilità.

Il terzo dato riguarda la conferma, negli atti oltre che nelle parole di alcuni leader politici, soprattutto dopo le elezioni europee, che il problema all’ordine del giorno della politica europea non è quello di fare scelte che servano solo a gestire più o meno bene l’Europa che c’è già, bensì quello di gestire una fase costituente, in cui sarà indispensabile una forte collaborazione tra le principali forze politiche e le istituzioni. Sarà, di fatto, sempre più necessario agire nel quadro e nello spirito di un governo di coalizione interistituzionale europeo: un governo di unità europea. Un governo cioè in cui le componenti pro-europee delle grandi famiglie europee, i rappresentanti delle istituzioni europee e quelli dei governi che hanno preso coscienza del fatto che il problema urgente da risolvere per uscire dalla crisi e ridare una speranza di progresso agli europei è quello di costruire, entro questa legislatura, un governo democratico dell’euro e dell’economia dell’eurozona, stipulino un accordo di collaborazione per realizzare questo obiettivo. Un accordo de facto, che superi nelle scelte europee concrete di tutti i giorni la linea di divisione tra partiti e tra governi progressisti e conservatori.

È tenendo conto di questi dati che occorre inquadrare l’azione dell’Italia, quella degli altri paesi e delle istituzioni europee. Da questo punto di vista è utile considerare alcune dichiarazioni recentemente rilasciate dal Presidente della BCE Mario Draghi, dal neo-presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, e dal Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble.

Note

  1. ‘The UK raised some concerns related to the future development of the EU. These concerns will need to be addressed. In this context, the European Council noted that the concept of ever closer union allows for different paths of integration for different countries, allowing those that want to deepen integration to move ahead, while respecting the wish of those who do not want to deepen anyfurther” (par 27 del comunicato).
  2. “….. Before the National Catholic Congress in Regensburg, Ms Merkel was much more explicit and clear: "I will lead all negotiations in the spirit that Jean-Claude Juncker should become president of the European Commission". Why has Merkel specified her position? Because this is the last European Parliament which can help her achieve the more integrated Economic and Monetary Union and to lay the foundations of a euro area parliament. If the trend anti-European parties to increase their force maintains all her ideas to enhance the euro area could fail. A confrontation with the pro-European forces could lead to conflicts and more intergovernmentalism as euinside wrote recently. Some of the ideas that come from Berlin or are well accepted in the German capital are related to turning the eurozone into a "genuine union", potentially with a parliament of its own. From this point of view, it would not be good for Merkel to "lose" the Parliament in a battle which is not important against the backdrop of the future reform of the EU (the eurozone specifically). If she decides to support Cameron's domestic political battle, she will remain in history as the chancellor who laid the foundation of disintegration of the EU - something which will be of a great loss to Germany. The country that benefited the most from the common currency.To Angela Merkel the stabilisation of the eurozone and the prevention of future crises is a much more important task than keeping Britain in the Union, which already is half way out. In this way, she will consolidate support around the deepening of the integration and will force the non-euro countries to decide faster when they will fulfil their accession treaty commitments and those who agreed opt-outs should decide whether to adopt the common currency or to follow Britain to the exit” (http://www.euinside.eu/en/analyses/why-merkel-leans-to-supporting-jean-claude-juncker 31 May 2014).

 

DRAGHI, JUNCKER, SCHAEUBLE E GLI EUROPEI
ALLA PROVA DEI FATTI

 

Juncker: ovvero, quel che si può e deve fare subito, a trattati invariati, per stimolare crescita, sviluppo ed occupazione e quel che va fatto oltre i trattati per rendere irreversibile l’unione economica e monetaria.

Nella presentazione del programma della Commissione europea per la sua nomina a Presidente da parte del Parlamento europeo, Jean Claude Juncker ha distinto chiaramente quanto è necessario fare subito, con gli strumenti attuali, per promuovere un piano di investimenti e di sviluppo europei, da quanto è indispensabile fare per rendere l’unione economica e monetaria davvero capace d’agire e di diventare unione. Sul primo punto Juncker ha fatto riferimento a meccanismi di finanziamento e di investimento per rendere disponibili a breve centinaia di miliardi di euro, attraverso un “miglior uso del bilancio dell’Unione e la Banca europea per gli investimenti (BEI). Dobbiamo usare questi fondi pubblici disponibili a livello dell’Unione per stimolare gli investimenti privati nell’economia reale. Abbiamo bisogno di investimenti più intelligenti e di maggiore flessibilità nell’usare questi fondi pubblici. Questo ci consentirebbe di disporre di almeno 300 miliardi di euro in più per investimenti pubblici e privati nei prossimi tre anni……. La preparazione di progetti da parte della BEI e della Commissione europea dovrebbe essere intensificata… anche attraverso nuove forme di prestito e di aumento di capitale della stessa BEI”. Significativamente queste proposte ricalcano progetti di rilancio degli investimenti e della crescita a livello europeo già messi a punto da altri centri di ricerca, come quello tedesco (DIW), su incarico del Ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, a conferma del fatto che anche la Germania ha bisogno di stimoli europei per sostenere la propria economia (More Money Please: A New Plan to Boost Europe's Straggling Investments, Spiegel Online, 1 luglio 2014). Ma tutto questo non basta, o basta al massimo per ricreare nel breve un clima di fiducia reciproco fra gli Stati e nella ripresa in un quadro europeo. Infatti, per quanto riguarda l’eurozona, Juncker si è impegnato a : “continuare la riforma della nostra unione economica e monetaria, per preservare la stabilità della nostra moneta e promuovere la convergenza delle politiche sconomiche, fiscali e del mercato del lavoro tra gli Stati membri che condividono la moneta unica. Intendo farlo sulla base del “Rapporto dei quattro Presidenti” e del “Blueprint for a Deep and Genuine Economic and Monetary Union” della Commissione europea, tenendo sempre presente la dimensione sociale dell’Europa. Stiamo vivendo una pausa nella crisi. Dobbiamo usare questa pausa per consolidare e agire in modo da rendere efficaci le misure senza precedenti che abbiamo avviato durante la crsi, semplificarle e renderle più socialmente legittime. La stabilità della nostra moneta e la solidità delle finanze pubbliche sono per me altrettanto importanti della giustizia sociale nel mettere in atto le necessarie riforme strutturali. Voglio perciò lanciare iniziative legislative e non legislative per approfondire l’unione economica e monetaria durante il primo anno del mio mandato. Queste iniziative riguarderanno un’analisi sulla stabilità della legislazione “six-pack” e “two-pack” (come previsto); proposte per incoraggiare ulteriori riforme strutturali, se necessario attraverso incentive finanziari e un bilancio autonomo dell’Eurozona; e una proposta per una più efficace rappresentanza esterna della nostra unione economica e monetaria” (Programma presentato da Juncker al Parlamento europeo a Strasburgo il 15 luglio 2014).

 

Draghi: ovvero dei limiti della politica monetaria e della necessità di un governo sovranazionale dell’economia

Nella sua Memorial lecture in onore di Tommaso Padoa Schioppa, il Presidente della BCE Mario Draghi ha posto alla classe politica la questione di come gli europei intendono governare moneta, economia e sviluppo.

Draghi ha posto alle istituzioni nazionali/europee ed ai governi:

a- il problema di uscire dall’ambiguità del dibattito sulla flessibilità (l’Italia sta facendo in proposito molta confusione; in Germania ci sono componenti della classe politica che a loro volta strumentalizzano il dibattito; la Francia non riece ad avere un ruolo di iniziativa sul terreno del trasferimento della sovranità; la Gran Bretagna è (si è messa) fuori dal processo di approfondimento dell’eurozona ma resta nell’UE – ed è chiaro ai più, anche in Gran Bretagna, che vi è un interesse convergente tra ins e outs alla moneta ad un approfondimento dell’unione dell’eurozona, come mostra un interessante studio del CER, Will the eurozone gang up on Britain?);

b- la necessità di promuovere una politica di sviluppo e per l’occupazione governando riforme e politiche economiche che richiedono un supranational body;

c- la definizione istituzionale a livello europeo, e non bilaterale tra singoli Stati, della partnership (accordi di partneriato, meccanismo di solidarietà o che altro) per crescita e sviluppo).

 

Il richiamo di Draghi alla questione cruciale della sovranità nell’area euro non lascia poi dubbi sulle responsabilità che la classe politica ed i cittadini devono assumersi:

“… La convinzione che ci siano interessi del popolo che non possono essere salvaguardati dalle sole autorità nazionali, e che richiedono la creazione di istituzioni sovranazionali, è stata una costante motivazione nella vita e nel lavoro di Tommaso Padoa Schioppa….. Alla fine di una mia recente conferenza stampa, ho detto che la cris non sarebbe stata così acuta se avessimo avuto più, e non meno, integrazione in Europa; e che il nostro futuro dipende da più integrazione e non dalla rinazionalizzazione delle nostre economie…

La sovranità nell’Unione europea non è solo un concetto normativo collegato ai diritti degli Stati. È anche un concetto positivo. Un sovrano che non può soddisfare le aspettative dei suoi cittadini è un sovrano di nome, non de facto. Perché la vera sovranità esiste solo se il potere di fare è effettivo. Questa nozione dell’efficacia dei pubblici poteri è implicita nel principio di sussidiarietà fatto proprio dai Trattati dell’unione europea – ed è noto come principio federalista negli Stati Uniti d’America. Si tratta del principio ben messo in evidenza da John Locke, secondo cui:

Tutto il potere attribuito con fiducia per raggiungere uno scopo…. ogniqualvolta sia manifestamente negletto… deve tornare nelle mani di chi glielo ha concesso, in modo che lo possa riattribuire al livello al quale la sicurezza e l’incolumità possano essere garantiti”……..

La seconda ragione per la quale un ruolo più forte dell’Unione potrebbe essere benefico, come nel caso delle politiche fiscali, sta nel fatto che stabilire regole a livello dell’Unione può aiutare le autorità nazionali ad implementare le riforme… L’esperienza storica, come quella fatta dal Fondo Monetario Internazionale, dimostra che la disciplina imposta da organi sovranazionali chiarisce il dibattito sulla necessità delle riforme su scala nazionale. In particolare il dibattito può essere indirizzato su come fare le riforme, non se farle”. (Memorial lecture in honour of Tommaso Padoa-Schioppa, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, London, 9 July 2014)

Come sappiamo, spetterebbe ai partiti politici ed in particolare al Parlamento europeo rispondere con proposte concrete su come inquadrare tutto questo in un processo democratico ed in una prospettiva di controllo democratico sovranazionale: questo è purtroppo quello che ancora manca nel confronto politico.

Il discorso di Draghi è quindi un ulteriore campanello d’allarme, qualora ce ne fosse bisogno, che avvisa i vari attori (governi, ma anche parlamentari) che questa legislatura può e deve essere usata per sciogliere i vari nodi - quello della sovranità inclusa, come avverte Draghi. Pena la non soluzione della crisi, il mancato sviluppo, e l’instabilità politica e sociale (in cui guadagnano spazio gli anti-europei ed i populisti).

 

Schaeuble: dei limiti delle soluzioni intergovernative e della necessità di una riforma dei Trattati in senso democratico europeo

E proprio in quanto i problemi devono comunque essere in qualche modo affrontati e risolti, resta ogni volta sul tappeto il second best istituzionale descritto - ma non auspicato - da Schaeuble nella sua intervista al Financial Times (29 giugno 2014): l’approccio intergovernativo.

“Gli accordi intergovernativi, ha precisato in quell’intervista il ministro Schaeuble, con cui abbiamo solo parzialmente risolto i problemi, sono complicati. Sono sempre soluzioni di secondo grado. Ecco perché il governo tedesco ritiene che sia necessario migliorare la possibilità di perseguire politiche economiche e finanziarie attraverso cambiamenti istituzionali… Il Parlamento europeo ha da parte sua detto che non è giusto che in tutte le decisioni le istituzioni europee non abbiano una voce decisiva… Se vogliamo una crescita sostenibile, combattere la disoccupazione, non possiamo affidarci alla sola politica monetaria… Una moneta comune implica politiche comuni in campo economico e finanziario dei paesi che la condividono…

come sapete è complicato prendere decisioni a livello europeo. Il governo tedesco ha dei piani precisi…. Ma come realizzarli passo dopo passo è complicato… In ogni caso prima riusciamo a fare le riforme necessarie a livello europeo, meglio è… Il governo tedesco è a favore di cambiamenti limitati. Dobbiamo vedere se sarà possibile realizzarli…. La questione è se cambiamenti radicali nelle leggi fondamentali europee – cioè se delle modifiche dei Trattati – sono necessari e possibili. Ci sono degli Stati membri che non sono favorevoli soprattutto per paura delle ripercussioni interne e dell’applicazione delle norme costituzionali nazionali per ratificare i cambiamenti… Si potrebbe aggirare l’ostacolo appunto con dei limitati cambiamenti, per i quali non sarebbe necessarie grandi convenzioni… A suo tempo avevamo proposto di rivedere il Protocollo 14 del Trattato di Lisbona, nel senso di dargli maggiori contenuti per quanto riguarda l’eurozona: oggi questo protocollo è un guscio vuoto… Ma quando si fa politica europea, bisogna sempre ricordarsi che modificare i trattati implica trovare l’unanimità e ottenere la ratifica i tutti gli Stati membri”.

Concetti questi che Schaeuble ha successivamente ribadito nella sua lecture a Berlino il 16 luglio, nell’ambito delle iniziative del Centro italotedesco Villa Vigoni, nel corso della quale ha insistito sul ruolo dell’Italia per promuovere un’iniziativa capace di promuovere la nascita nell’Unione europea di un nucleo duro dell’eurozona, aperto evidentemente a chi volesse entrarvi.

 

  


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