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Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è stato istituito nel 2011 tramite un accordo intergovernativo sottoscritto dai Paesi della zona Euro allo scopo di garantire la stabilità dell’Eurozona mediante un fondo di sostegno ai Paesi in difficoltà durante la crisi dei debiti sovrani. La sua governance è di fatto nelle mani dei governi nazionali, i quali hanno delegato alla Commissione Europea un ruolo di supervisione e mediazione rispetto ad alcuni aspetti dell’esecuzione delle decisioni e degli interventi. Pur essendo previste diverse regole di voto, le decisioni sono prese praticamente sempre all’unanimità, e solo in casi particolarmente urgenti è prevista la possibilità di votazioni a maggioranza qualificata rafforzata (85%) delle quote del fondo. Questa maggioranza attribuisce di fatto un potere di veto a Germania, Francia e Italia.

Il MES ha una dotazione di 80 miliardi di Euro, ma in caso di necessità può arrivare ad attivare un capitale complessivo di 700 miliardi, cui gli Stati contribuiscono proporzionalmente al proprio PIL. Il MES rappresenta dunque uno strumento per rendere possibile la solidarietà tra i Paesi dell’Eurozona, e la sua riforma attualmente in discussione genera dei piccoli ma significativi passi in avanti, frutto di un compromesso politico tra le rigidità di alcuni Paesi e le necessità di altri.

La sterile polemica in Italia su presunti retroscena del negoziato e le imbarazzanti accuse di tradimento della patria, non affrontano nel merito e con la necessaria responsabilità il tema. La classe dirigente italiana deve essere consapevole di rappresentare un Paese che ha il terzo contributo più alto al MES, ma che al contempo ha il più alto debito pubblico europeo dopo la Grecia in proporzione al PIL. La riforma del MES va dunque inquadrata in una seria riflessione sul completamento dell’unione economica e monetaria e il futuro dell’Eurozona.

Lo scopo del MES è garantire supporto finanziario (nella forma di prestiti agevolati) agli Stati sottoscrittori in caso di problemi finanziari legati ad attacchi speculativi e shock asimmetrici. Tale supporto è condizionato alla definizione congiunta di politiche di riassetto del bilancio nazionale allo scopo di garantire  che, almeno nel medio periodo, lo Stato che riceve aiuti sia in grado di tornare a finanziarsi autonomamente. Il MES, e le politiche della Banca Centrale Europea, hanno consentito di superare la crisi del debito assicurando la tenuta della moneta unica. I programmi di riforma legati al sostegno del MES e dei Fondi precedenti sono stati un grande successo in Irlanda, Spagna, Portogallo, e Cipro, che sono usciti dal programma di sostegno spesso in anticipo sui tempi previsti, e tornati rapidamente alla crescita. La Grecia rappresenta invece un caso più problematico.

Il progetto di riforma del MES discusso questa estate amplia i compiti del MES, trasformandolo nel backstop del fondo unico di risoluzione bancaria, completando il secondo pilastro dell’Unione Bancaria, in grado quindi di intervenire in caso di crisi bancarie, come anche l’Italia ha chiesto da anni. Rappresenta quindi un caso di mutualizzazione dei rischi, ovvero uno strumento di maggiore solidarietà europea.

La riforma confermerebbe inoltre i criteri con cui sarà possibile per gli Stati sottoscrittori accedere al fondo specificando meglio le procedure e la divisione dei compiti tra la governance del MES e la Commissione. In particolare

  1. Il MES potrà fornire aiuto anche ai Paesi in difficoltà finanziaria, quindi non necessariamente a rischio default, purché questi rispettino il Patto di stabilità e crescita;
  2. l’assistenza finanziaria può essere concessa solo in caso di valutazione positiva sulla sostenibilità del debito del Paese che richiede l’aiuto del fondo. La sostenibilità viene valutata dagli organismi del MES e dal Paese richiedente con la mediazione della Commissione Europea;
  3. l’intervento del MES può essere condizionato ad una ristrutturazione parziale del debito mediante lo strumento delle single-limb collective action clauses (strumento che comunque era già stato introdotto precedentemente – in Italia nel 2012 – di cui adesso viene semplificata la modalità di impiego). Peraltro, in passato la ristrutturazione del debito era una richiesta del Paese debitore, come nel caso della Grecia.

Il punto centrale della riforma è l’estensione del mandato al fine di completare l’unione bancaria, allargando la rete di sicurezza in caso di crisi. Piuttosto, i limiti del MES sono nella governance intergovernativa, dove prevalgono quindi gli interessi nazionali e non quelli dell’Unione economica e monetaria nel suo complesso. Inoltre, il MES non è sottoposto al controllo democratico del Parlamento Europeo e non è affiancato, sul lato fiscale, da un bilancio comune adeguato che possa garantire la stabilità e la crescita dell’Eurozona, e prevenire l’insorgere delle crisi. Sono questi i punti che bisognerebbe discutere. Occorre mettere al centro del dibattito la necessità di superare la logica intergovernativa nel quadro del MES, e dotare l’Unione di una vera fiscalità europea per alimentare un bilancio federale, sotto un legittimo controllo democratico europeo, in grado di avviare politiche di investimento e di crescita e finanziare beni pubblici europei, come la sicurezza, la transizione energetica e il Green Deal per un contrasto ai cambiamenti climatici socialmente sostenibile.

 

  


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