Presidente |
Segretaria |
Tesoriere |
Stefano Castagnoli |
Luisa Trumellini |
Claudio Filippi |
Vice-presidenti
Stefano Moscarelli | Matteo Roncarà |
Vice-segretari
Marco Celli | Giovanni Trinchieri | Pietro Finelli |
Revisori dei conti |
|
Probiviri |
Saverio Cacopardi Vittorio Cidone Federico Faravelli |
Enrico Brugnatelli Sandro Capitanio Ennio Triggiani |
Ufficio di Segreteria
Coordinato da Presidente e Segretario nazionali | |
Stefano Castagnoli | Presidente |
Luisa Trumellini | Segretario |
Claudio Filippi | Tesoriere |
Stefano Moscarelli Matteo Roncarà |
Vice-Presidenti |
Marco Celli Pietro Finelli Giovanni Trinchieri |
Vice-Segretari |
Sara Bertolli | Presidente GFE |
Giorgia Sorrentino | Segretario GFE |
L'unità Europea
Direttore | Gianluca Bonato |
Vicedirettore | Luca Lionello |
Ufficio del Dibattito
Coordinatore | Raimondo Cagiano | |
Membri di diritto | Stefano Castagnoli | Presidente MFE |
Luisa Trumellini | Segretario MFE | |
Sara Bertolli | Presidente GFE | |
Giorgia Sorrentino | Segretario GFE | |
Membro nominato dal Comitato federale |
Jacopo Di Cocco | |
Membri nominati dalla GFE | Giacomo Brunelli Gabriele Casano |
Incarichi
Team Comunicazione Coordinato da Presidente e Segretario nazionali |
Gianluca Bonato Federico Butti Davide Negri |
Sito Internet MFE | Claudio Filippi |
Direzione nazionale
Presidente | Stefano Castagnoli | |
Segretario | Luisa Trumellini | |
Tesoriere | Claudio Filippi | |
Vice-Presidenti | Stefano Moscarelli Matteo Roncarà |
|
Vice-Segretari | Marco Celli Pietro Finelli Giovanni Trinchieri |
|
Segretario GFE | Giorgia Sorrentino | |
Membri | Paolo Acunzo Aldo Bianchin Federico Butti Raimondo Cagiano Pierangelo Cangialosi Roberto Castaldi Simone Cuozzo Jacopo Di Cocco Ugo Ferruta Luca Lionello Paolo Lorenzetti Franco Lorenzon Massimo Malcovati Domenico Moro Marco Nicolai Enrico Peroni Alessandro Pilotti Giulia Rossolillo Franco Spoltore Marco Villa Rossella Zadro |
Comitato federale
Membri eletti dal Congresso nazionale
Abbati Peppino | Cuozzo Simone | Mazzoni Raffaella |
Acunzo Paolo | De Venuto Gaetano | Melandri Giovanna |
Alberti Alessio | De Vincentiis Gianluca | Moretti Maria Laura |
Alese Diletta | Di Cocco Jacopo | Moro Domenico |
Andriulli Francesco | Epis Lorenzo | Murgia Stefano |
Antonello Guglielmo | Esarca Gabriele | Negri Davide |
Argenziano Antonio | Esposito Angelo | Nicolai Marco |
Ariemma Angelo | Fabbro Fabrizia | Padoa Schioppa Antonio |
Armellino Daniele | Fabris Luciano | Parry Anne |
Arri Davide | Ferrari Anna | Peroni Enrico |
Bertoldi Andrea | Ferruta Ugo | Pilotti Alessandro |
Bertolli Sara | Filippi Claudio | Pizzati Anna Lucia |
Bianchin Aldo | Franco Francesco | Provera Jacopo |
Bonato Gianluca | Frignani Paolo | Roncarà Matteo |
Bonofiglio Luca | Girardo Michele | Rossi Stefano |
Borgna Grazia | Giussani Luigi | Rossolillo Giulia |
Bozzao Nicolò | Goretta Renato | Sabatino Michele |
Brivio Enrico | Gori Matteo | Salpietro Giovanni |
Brunelli Federico | Guastella Giorgio | Sanvido Silvana |
Brunelli Giacomo | Gui Francesco | Saputo Giulio |
Butti Federico | Herlinger Giovanni | Sartorelli Marco |
Cagiano Raimondo | Ingellis Emanuela | Scardovi Gabriele |
Calí Massimo | Laganá Marco | Solfrizzi Giovanni |
Cangialosi Pierangelo | Lazzari Piero | Spiaggi Giulia |
Caria Ilaria | Leone Mario | Striani Debora |
Caruso Pietro | Levi Lucio | Susta Roberto |
Castagnoli Stefano | Longo Antonio | Taboga Maria Gabrilella |
Castaldi Roberto | Lorenzetti Paolo | Torre Francesca |
Catalano Roberto | Lorenzon Franco | Trinchieri Giovanni |
Celli Marco | Maestri Valentina | Trumellini Luisa |
Ciuffreda Libero | Magnani Ugo | Usai Valentina |
Conte Clelia | Mandrino Claudio | Vallinoto Nicola |
Contri Massimo | Maranesi Cristina | Valtancoli Matteo |
Cortese Corrado | Marchi Ferdinando | Villa Marco |
Cristofaro Nicola | Mascherpa Gabriele | Zadro Rossella |
Membri del Comitato federale nominati dai Centri regionali
Abruzzo | Damiana Guarascio | |
Campania | Raffaele De Luca | |
Emilia Romagna | Gianfranco Brusaporci | |
Friuli Venezia Giulia | Da nominare | |
Lazio | Nicola Forlani | |
Liguria | Piergiorgio Grossi | |
Lombardia1 | Anna Costa Stefano Spoltore |
|
Molise | Da nominare | |
Piemonte | Stefano Moscarelli | |
Puglia | Simona Ciullo | |
Sicilia | Lucia Muscetti | |
Toscana | Pietro Finelli | |
Veneto1 | Giorgio Anselmi Italo Vantini |
1) Le regioni con più di 500 iscritti eleggono due rappresentanti nel Comitato centrale.
Membri di diritto in quanto membri del Comitato federale dell'UEF
Brando Benifei |
Mercedes Bresso |
Matilde Ceron |
Pier Virgilio Dastoli |
Luca Lionello |
Massimo Malcovati |
Paolo Milanesi |
Carlo Maria Palermo |
Franco Spoltore |
Sofia Viviani |
Membri cooptati
Alfonso Iozzo |
Alberto Majocchi |
Guido Montani |
Sergio Pistone |
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Fermiamo la febbre del Pianeta
Un Piano Mondiale per l’Ambiente, la Sanità, l’Immigrazione e il Lavoro
Un ruolo attivo dell’Unione Europea
Versione scaricabile in Pdf >>
La divisione dell’umanità in Stati nazionali sovrani impedisce di affrontare efficacemente i problemi globali, tra i quali il mutamento del clima dovuto all’attività dell’uomo, le pandemie, l’immigrazione e il lavoro.
Il superamento di tale divisione , a partire dall’Europa, mediante la creazione della Federazione Europea, è fondamentale per poter decidere interventi immediati, incisivi e consistenti per la riduzione a livello planetario delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, senza i quali l’aumento della temperatura media continuerà senza soste in tutto il Pianeta, mettendo in serio pericolo la salute di tutte le specie viventi, compresa quella umana , che è la maggiore responsabile dell’attuale livello di degrado del Pianeta.
Basta con l’inerzia e l’egoismo degli Stati
Fino ad ora non sono stati adottati provvedimenti significativi, politica o misura, a livello globale capaci di contrastare la situazione climatica che sta diventando irreversibile. L’accordo raggiunto alla COP 21 di Parigi è del tutto insufficiente per ridurre le emissioni di CO2, avendo lasciato tale compito al solo mercato. Molto grave, a livello mondiale, è anche la situazione sanitaria dovuta ai circa quaranta nuovi virus causati dai cambiamenti climatici, l’ultimo dei quali è il Covid 19. Sempre più grave è anche la situazione che riguarda i problemi delle migrazioni di massa, anch’esse provocate da problemi ambientali, derivanti dai cambiamenti climatici e la disoccupazione crescente che necessita di un reddito universale erogato sulla base dell’adesione all’ “esercito mondiale del lavoro “, con relativa “leva mondiale del lavoro “.
Occorre quindi ridurre le emissioni di CO2 a partire dalla Conferenza dell’ONU sul clima (COP 26), che si terrà a Glasgow in Scozia , affidando la stabilizzazione del clima a istituzioni internazionali adeguate al carattere globale della sfida climatica che, come la sfida della sanità, della salute , dell’immigrazione e del lavoro, non possono essere affrontate unilateralmente da nessun Stato del Mondo.
Bisogna affrontare insieme le sfide
È necessario che i principali Stati (Stati Uniti, Unione Europea, Cina, India, Russia, Brasile, Messico, Giappone, Sud-Africa) affrontino insieme la sfida climatica, quella sanitaria , quella dell’immigrazione e quella del lavoro, con un atto di grande rilievo politico e di risonanza mondiale da adottarsi in Scozia alla COP 26 o nei mesi immediatamente successivi.
Un Piano Mondiale per l’Ambiente, la Sanità, l’Immigrazione e il Lavoro
Occorre prevedere l’assunzione di impegni vincolanti da parte degli Stati e la costituzione di un’Organizzazione Mondiale per l’Ambiente, la Sanità , l’Immigrazione e il Lavoro (OMASIL), con sede a Ginevra, dotata di reali poteri, gestita da un’Alta Autorità indipendente e che disponga di adeguate risorse finanziarie proprie.
Detta Organizzazione Mondiale costituirà lo strumento per gestire insieme sia le emergenze ambientali globali e anche quelle sanitarie , dell’immigrazione e del lavoro.
L’OMASIL aiuterà i paesi in via di sviluppo a condividere la diminuzione di emissioni di carbonio (CO2) e interverrà nelle emergenze sanitarie , dell’immigrazione e del lavoro fornendo loro, da parte dei paesi sviluppati, una considerevole quota di sostegno finanziario, tecnologico e umanitario.
Il modello di Istituzione proposto è quello della Comunità Europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel processo di unificazione europea.
Una carbon tax , una T.T.F. e una web digital tax mondiali
I mezzi finanziari propri per l’OMASIL devono derivare da entrate fiscali con l’istituzione di una carbon tax , una T.T.F e una web digital tax mondiali. L’Unione Europea ha la capacità e la volontà di assumere un ruolo di leadership nella conversione in senso ecologico dell’economia e della società mondiale, nella costruzione di un sistema sanitario mondiale e di tutela dei migranti e dei disoccupati. Lo dovrà dimostrare istituendo subito una carbon tax, una TTF e una web digital tax europea tra i paesi dell’eurozona e proponendo, a partire dalla COP 26 di Glasgow, la costituzione di un’Organizzazione Mondiale per l’Ambiente, la Sanità , l’Immigrazione e il Lavoro(OMASIL) a cominciare da quegli Stati che fin d’ora sono disponibili.
Noi cittadini europei, chiediamo:
- Un ruolo di iniziativa e di avanguardia per l’Unione Europea nella conversione ecologica dell’economia e della società, nella tutela dei diritti di tutti i cittadini del Mondo, attraverso l’Istituzione di un reddito universale esteso ovviamente anche ai cittadini migranti.
- Il completamento dell’Unione Federale dell’Europa con la creazione di un governo democratico europeo responsabile innanzi al Parlamento europeo, capace di parlare con una sola voce , al fine di consentire all’Unione Europea di svolgere tale ruolo con efficacia.
Avanti verso la Federazione Europea per arrivare a un Parlamento Mondiale e a un Governo democratico del Pianeta.
Unire l’Europa per unire il Mondo
Firma questa petizione in uno dei siti sotto indicati
Istituto di Studi sul Federalismo e l’Unità Europea “Paride Baccarini “ www.istitutoparidebaccarini.eu
Europa in Movimento - www.europainmovimento.eu
Centro Einstein di Studi Internazionali di Torino – www.centroeinstein.it
Centro nazionale
Via Villa Glori 8, 27100 Pavia
Tel. +39 0382 530045
email:
Il Movimento federalista europeo opera sul territorio attraverso le sue sezioni locali. Puoi cercare la sezione da contattare consultando la mappa in cui sono riportati i nomi dei segretari e l'indirizzo email a cui scrivere.
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1. Di cosa si occupa questo contributo?
In seguito alla crisi sistemica che in questi ultimi anni ha vissuto l’Unione europea è iniziato un vasto dibattito tra cittadini, accademici, politici nazionali ed europei sul futuro del processo di integrazione. Coloro che credono ancora nel progetto dell’Europa unita hanno ribadito l’esigenza di rifondare l’Unione attraverso una serie di riforme istituzionali e il lancio di nuove politiche comuni al fine di soddisfare le aspettative e le aspirazioni dei cittadini europei.
Tra le proposte di riforma avanzate finora, è necessario soffermarsi sul progetto di capacità fiscale data l’importanza strategica che esso può avere per il rilancio del processo di integrazione. Scopo del presente contributo è quello di spiegare:
- cosa si intende per capacità fiscale;
- perché è così importante;
- la differenza rispetto ad altri progetti con i quali la capacità fiscale tende ad essere confusa;
- come potrebbe essere realizzata la capacità fiscale nel quadro di una riforma complessiva dell’Unione.
2. Cosa significa creare una capacità fiscale europea?
La scienza economica e giuridica normalmente intende per capacità fiscale la capacità di raccogliere risorse e di spenderle nell’interesse generale. Tale potere si esercita pertanto su due versanti: quello delle entrate (che possono consistere in tasse o debito) e quello della spesa pubblica (che viene utilizzata per esercitare alcune funzioni, quali il finanziamento di beni pubblici, la redistribuzione della ricchezza, la stabilizzazione dell’economica in caso di shock economici).
Notoriamente la distribuzione delle competenze tra Unione e Stati membri prevede oggi che la capacità fiscale resti una competenza esclusivamente nazionale. Questo pone i Paesi appartenenti alla zona euro in una situazione del tutto particolare. Essi infatti hanno accettato di perdere la loro sovranità monetaria, ma mantengono le loro prerogative esclusive nell’ambito della politica fiscale. Per questo si dice che l’Unione Economica e Monetaria è asimmetrica: mentre l’unione monetaria si fonda su un trasferimento di sovranità, l’unione economica consiste essenzialmente nel coordinamento di politiche nazionali indipendenti. [1]
Creare una capacità fiscale europea è dunque necessario innanzitutto per risolvere questa contraddizione e bilanciare l’asimmetria, creando una sovranità fiscale europea accanto alla sovranità monetaria.
A questo bisogna aggiungere che, storicamente la creazione del potere fiscale ha coinciso con l’atto fondativo di una comunità politica, e ha richiesto un forte controllo democratico su chi lo esercita; per questo le società democratiche hanno sempre richiesto che il potere fiscale venga esercitata dal parlamento. Questo spiega anche l’importanza della creazione di una capacità fiscale europea nella battaglia per la costruzione di un’unione politica europea di tipo federale.
Per essere tale, una capacità fiscale europea deve essere:
- indipendente dalla volontà dei singoli Stati, ovvero deve potersi autodeterminare sia sul lato delle entrate che della spesa;
- in grado di mobilitare risorse rilevanti. A seconda delle funzioni che esso sarà chiamato a svolgere, il bilancio dovrà (a regime) mobilitare tra il 5 e il 10 % del PIL
3. Perché è così necessario creare una fiscalità europea?
La creazione di un potere fiscale è il punto di svolta per la battaglia per un’unione politica federale in Europa. Il passaggio da un soggetto confederale a un soggetto federale dipende infatti dallo sviluppo della capacità di autodeterminarsi; e proprio la capacità fiscale è, fra le competenze, quella più prossima alla Kompetenz-Kompetenz, ovvero alla capacità di autodeterminazione propria degli Stati sovrani.
Si noti che storicamente le rivoluzioni dell’età moderna sono state determinate dalla questione relativa a chi dovesse esercitare il potere fiscale (il re o il parlamento, la madre patria o i coloni, l’ancienne régime o la borghesia). Emblematica a questo proposito è la vicenda della trasformazione degli Stati Uniti da Confederazione Federazione. Gli Articles of Confederation non attribuivano capacità fiscale alla Confederazione e prevedevano che questa fosse finanziata da contributi degli Stati membri. L’impossibilità di obbligare gli Stati recalcitranti a versare tali contributi e quindi di pagare i debiti derivanti dalla guerra di indipendenza aveva portato a una situazione di crisi insostenibile che fu risolta solo quando, con l’approvazione della Costituzione federale del 1789, si stabilì che il Congresso avesse il potere di imporre tasse, e che dunque la Federazione non dipendesse dagli Stati per il suo finanziamento.
L’attuale Unione si basa notoriamente sul principio di attribuzione: essa può fare solo ciò che gli Stati membri (all’unanimità) le dicono di fare; ciò è in gran parte dovuto al fatto che chi decide delle risorse, indirettamente decide anche di tutte le politiche che riesce a finanziare con quelle risorse. Non è un caso allora che le Corti costituzionali nazionali abbiano da sempre considerato la competenza fiscale come un dominio riservato degli Stati. Ne va della capacità dei Paesi membri di detenere la sovranità in ultima istanza.
4. Le false vie alla capacità fiscale europea
Nel dibattito in corso sul futuro dell’Unione europea, il tema della riforma del bilancio dell’Unione europea, della creazione di nuove risorse proprie europee, dell’armonizzazione fiscale nel quadro della regolamentazione del mercato interno viene spesso confuso con la questione della creazione di una capacità fiscale europea. In realtà in questo modo vengono sovrapposti due piani completamente diversi. Si tratta di un chiarimento preliminare indispensabile per affrontare con consapevolezza il problema della creazione di una capacità fiscale a livello europeo.
- Il problema della riforma del bilancio dell’Unione europea
Il bilancio dell’Unione europea non è espressione di una capacità fiscale europea. Esso si finanzia per la maggior parte (più del 70%) con trasferimenti diretti dai bilanci nazionali e in piccola parte con le cosiddette ‘risorse proprie’, ovvero risorse raccolte dagli Stati membri in settori regolati dal diritto UE (agricoltura, dazi) e successivamente trasferiti ai bilancio UE.
Le risorse di cui gode il bilancio UE non godono pertanto delle due caratteristiche tipiche della capacità fiscale:
- manca l’indipendenza del bilancio UE dalla volontà dei singoli Stati membri: è vero che i singoli bilanci annuali dell’UE sono decisi dal Parlamento europeo e dal Consiglio alla pari, ma tale meccanismo riguarda solo le spese, che peraltro devono mantenersi nei limiti fissati ogni 7 anni nel Quadro finanziario pluriennale approvato all’unanimità dai governi nazionali nell’ambito del Consiglio previa approvazione del Parlamento Europeo (art. 312 TFUE). Per quanto riguarda invece le entrate, l’art. 311 TFUE stabilisce che il sistema delle risorse proprie sia deciso dal Consiglio all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, e che in seguito detta decisione sia approvata dai singoli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Oltre al fatto che in tale procedura l’organo rappresentativo dei cittadini – il Parlamento europeo – viene solo consultato, ogni governo mantiene dunque il diritto di veto sulla questione delle risorse trasferite e poi utilizzate dal bilancio UE.
- in questo quadro, il bilancio manca strutturalmente di una dimensione rilevante. Oggi esso ammonta ad appena l’1% del PIL prodotto dall’intera Unione europea perché è concepito per finanziare politiche legate allo sviluppo del mercato interno, e non per svolgere – a differenza dei bilanci degli Stati federali – alcuna funzione di finanziamento di beni pubblici europei né alcuna funzione redistributiva. Realisticamente, la dimensione del bilancio potrà essere ampliata in modo significativo solo quando la sua funzione sarà pensata nell’ottica di un governo sovranazionale
Questo non toglie che si possa anche trovare il modo di migliorare l’attuale bilancio dell’Unione europea, ma ogni riforma in tal senso non andrebbe a cambiare la natura in ultima istanza intergovernativa dell’attuale meccanismo di bilancio europeo
- Lo sviluppo del sistema delle risorse proprie
Alcuni credono che sia possibile creare un nucleo di potere fiscale europeo semplicemente sviluppando l’attuale sistema delle risorse proprie (art. 311 TFUE). Ciò non sembra al momento possibile; infatti, le risorse proprie non sono un embrione di tasse europee, ma delle tasse nazionali legate a settori dell’economia regolati dal diritto UE, che le autorità nazionali decidono di assegnare in modo stabile all’Unione europea. Le risorse europee sono raccolte dalle autorità nazionali e sono nella maggior parte dei casi registrate nei bilanci nazionali. L’Unione europea non ha dunque alcun potere di dar vita a nuove risorse, né di decidere il loro ammontare e il loro utilizzo, indipendentemente dall’accordo di tutti gli Stati membri.
La necessità dell’accordo all’unanimità di tutti gli Stati membri non è del resto la causa del problema, ma l’effetto del sistema attuale. Per questo le recenti proposte avanzate anche dalla Commissione europea di introdurre il voto a maggioranza in materia fiscale rimangono profondamente contraddittorie. Tali proposte sono probabilmente motivate dallo stallo in cui si trova attualmente il Consiglio a causa delle divisioni interne tra i governi, e dal fatto che il tentativo di aggirare il principio dell’unanimità attraverso il sistema delle cooperazioni rafforzate in materia fiscale si è arenato per via delle clausole che regolano queste ultime e che le rendono inadatte allo scopo. Tuttavia, al di là del fatto che per approvare una riforma di questo tipo rimane necessaria l’unanimità (che si scontra con la volontà di una parte dei paesi membri di mantenere il pieno controllo della sovranità fiscale), se anche fosse stabilito il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio per decidere nuove risorse proprie è impensabile che gli Stati contrari accettino di limitare la propria sovranità in questo campo applicando tasse cui si sono opposti. Proprio per il fatto che il sistema delle risorse proprie, anche nell’ipotesi di un passaggio al voto a maggioranza qualificata, si fonderebbe su decisioni rivolte agli Stati membri - dalla cui volontà dipenderebbe dunque ancora la raccolta di dette imposte e il loro versamento al bilancio dell’Unione - il risultato non potrebbe essere altro che un impasse (e la questione della ripartizione di quote dei migranti insegna), oppure un mantenimento del funzionamento del Consiglio sulla base del raggiungimento del consenso (unanime) in materia fiscale (come del resto avviene già in molti settori in cui l’interesse nazionale dei singoli Paesi è più toccato, al di là delle regole previste dai trattati).
Del resto, come si legge anche nel Rapporto Monti sulle risorse proprie, per creare vere e proprie imposte europee (e dunque per dar vita ad una capacità fiscale dell’Unione) è necessario che queste ultime: i) siano decise dall’Unione sulla base delle proprie scelte di politica economica,; ii) confluiscano direttamente nel bilancio dell’Unione (il cui ammontare non sarebbe più deciso all’unanimità dagli Stati membri); iii) che il livello sovranazionale venga dotato di un’amministrazione in grado di esigere il pagamento di tali imposte da parte dei privati.
La realtà, pertanto, è che per poter diventare delle imposte europee, le ‘risorse proprie’ devono diventare espressione di un potere fiscale europeo, guadagnando le due caratteristiche tipiche dell’indipendenza e della rilevanza; e ciò può avvenire solo attraverso un nuovo quadro giuridico che istituisca nuove norme in materia di sovranità fiscale.
- L’armonizzazione delle politiche fiscali nazionali
L’armonizzazione fiscale, prevista espressamente per le imposte indirette dall’art. 113 TFUE e che richiede una decisione unanime del Consiglio (e dunque l’accordo di tutti gli Stati membri), è questione ben diversa rispetto alla creazione di un potere fiscale europeo. Per armonizzazione fiscale si intende in effetti l’eliminazione delle disparità maggiori esistenti tra i sistemi fiscali degli Stati membri, attraverso l’imposizione di misure volte a rendere uniforme la base imponibile o l’aliquota applicata negli stessi in relazione a una medesima imposta.
L’armonizzazione fiscale è oggi oggetto di dibattito soprattutto in relazione all’imposta sulle società, a causa delle aliquote particolarmente basse applicate da alcuni Stati membri al fine di attrarre investimenti, che hanno come effetto di falsare la concorrenza all’interno del mercato unico e di prestarsi ad abusi da parte delle multinazionali.
L’esempio classico di armonizzazione fiscale è costituito dall’imposta sul valore aggiunto, in relazione alla quale oggi è prevista una base imponibile uniforme e un ravvicinamento delle aliquote applicate nei vari Stati membri. Anche nel caso in cui, tuttavia, come nell’ipotesi dell’IVA, una quota di un’imposta armonizzata sia versata dagli Stati membri nel bilancio UE, non siamo di fronte a una capacità fiscale dell’Unione. Si tratta infatti di imposte nazionali – se pur rese simili attraverso l’armonizzazione – raccolte dalle autorità nazionali e utilizzate dalle stesse, una parte delle quali è versata da dette autorità al bilancio dell’Unione.
5. Come si può creare un potere fiscale europeo?
Per creare un potere fiscale europeo bisogna fare i conti non solo con alcuni problemi cronici relativi al trasferimento di nuove competenze a livello europeo, ma anche con alcune contingenze specifiche dell’attuale fase del processo di integrazione europea.
Oggi i governi hanno una diversa visione del futuro dell’integrazione europea. A fronte di alcuni Paesi favorevoli ad una maggiore integrazione (come Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Malta), ve ne sono altri che sostengono il mantenimento dello status quo, pur con qualche aggiustamento (come la Germania, la Finlandia, i Paesi Bassi); e c’è poi il blocco dei Paesi sovranisti (al momento non solo Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ma anche un Paese fondatore come l’Italia ha rischiato e rischia di finire in questo gruppo).
Inoltre, al fine di mantenere il benessere e la stabilità della loro economia, i governi si confrontano con priorità e situazioni diverse: i Paesi euro, non godendo di una sovranità monetaria autonoma come strumento di stabilizzazione delle loro economie, hanno bisogno di meccanismi comuni per assorbire shock economici e implementare riforme strutturali dei loro sistemi economici; inoltre le loro economie sono più interdipendenti. I Paesi non euro, invece, sono più autonomi dagli altri Paesi UE, anche se alcuni tra loro godono di importanti trasferimenti da parte del bilancio UE. Tuttavia, anche i Paesi non euro richiedono la stabilità della zona euro come condizione necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno.
Infine, i trattati esistenti non permettono di creare un potere fiscale europeo. Mentre i trattati permettono un’armonizzazione leggera dei sistemi fiscali nazionali, ed eventualmente la creazione di nuove risorse proprie per l’alimentazione del bilancio UE o di una linea di bilancio per la zona euro, non permettono invece la creazione di una capacità fiscale europea dotata dell’indipendenza e della necessaria rilevanza di cui si parlava. Inoltre, tutte le decisioni in materia devono essere adottate all’unanimità (art. 311, art. 312, art. 113, art. 352 TFUE).
Bisogna inoltra aggiungere che, per i motivi ricordati in precedenza, l e Corti costituzionali rimangono o stili alla creazione di un potere fiscale europeo e potrebbero essere tentate dall’attivare i ‘controlimiti’, ovvero bloccare gli atti europei che loro ritengano essere ultra vires o in contrasto con l’identità costituzionali dello Stato membro.
La creazione di un potere fisale europeo richiederà pertanto un atto politico di rottura rispetto al quadro giuridico europeo esistente (in questo senso sarà un atto rivoluzionario). Per pilotare il processo di integrazione europeo fino ad arrivare a questo momento si devono prendere in considerazione alcune esigenze.
- L’atto giuridico che crea la capacità fiscale non può essere altro che un nuovo trattato di modifica dell’UE da approvarsi a maggioranza.
- L’ obbiettivo è quello di modificare il quadro giuridico UE e creare una nuova competenza. In questo senso il nuovo trattato sarebbe diverso dal Fiscal compact o dal Trattato MES che istituivano strumenti intergovernativi per gruppi di Stati membri. Il trattato di modifica ha invece l’ambizione di emendare il quadro giuridico
- Essendo però prevista l’adozione a maggioranza verrebbe superato l’ostacolo dell’unanimità prevista dall’art. 48 TUE. Ovviamente ciò porterebbe alla creazione di almeno due gruppi di Stati: chi aderisce al nuovo trattato Europa 2.0 e chi rimane vincolato solo ai trattati attuali dell’Europa 1.0.
- Resta la difficoltà di far convivere per un periodo eventualmente lungo il funzionamento dell’Unione 1.0 con quello dell’Unione 2.0. A proposito si tengano comunque in considerazione alcuni
- Si applicheranno le regole del diritto internazionale pubblico, in particolare i principi della successione dei trattati nel tempo, secondo il quale l'ultimo cronologicamente abroga gli altri, e quello dell'inefficacia dei trattati rispetto ai terzi. In questo modo le due unioni (strutturate su due cerchi) possono convivere eliminando al massimo le frizioni.
- Il quadro istituzionale dell’UE dovrà essere riformato (in parte) per funzionare contemporaneamente per le due Unioni. Mentre il Consiglio può funzionare facilmente con composizioni variabili, la Commissione dovrebbe essere snellita al fine di superare l’idea che ogni Stato ha un suo rappresentante. Il Parlamento e la Corte di giustizia possono invece mantenere la struttura esistente: i singoli eurodeputati e i giudici non sono infatti soggetti all’obbligo di mandato. Eventualmente si potrebbe creare un comitato di deputati della zona euro all’interno del Parlamento europeo (sul modello della West Lothian Question nel parlamento britannico).
- Per i motivi sopra elencati l’adozione di un trattato di modifica da adottarsi a maggioranza non seguirà la procedura prevista nei trattati esistenti (art. 48 TUE), ma dovrà essere maturata all’interno di una convenzione a cui parteciperanno istituzioni nazionali ed europee e rappresentanti dei cittadini.
6. Conclusione
Il dibattito attualmente in preparazione sul futuro dell’Europa, a partire già dalla Conferenza proposta dal Presidente francese Macron e ripresa dai partiti pro-europei nel Parlamento europeo e dalla Presidente della Commissione europea nelle sue linee programmatiche, non potrà non affrontare il tema dell’efficacia del governo europeo per poter attuare politiche interne ed estere che permettano agli Europei di proteggere i propri valori e i propri interessi nel mondo. Tale efficacia è subordinata alla creazione di nuovi strumenti europei che permettano di superare l’attuale subordinazione del funzionamento dell’UE alla volontà politica degli Stati membri; subordinazione che è alla radice della preponderanza del metodo intergovernativo nel quadro comunitario e che ha nella mancanza di un potere fiscale a livello europeo la sua ragione fondamentale. Pur in un quadro di checks and balances adeguato a garantire la tutela di tutti gli Stati membri, è diventata perciò indilazionabile la creazione di una capacità fiscale europea, espressione di una nuova sovranità europea da affiancare a quella degli Stati nazionali.
Come cerca di spiegare questo contributo, la creazione di tale nuova capacità è complessa nell’odierno quadro europeo, ma possibile. Esso deve necessariamente accompagnarsi ad un atto politico di presa di coscienza dei nuovi compiti che attendono l’Unione europea nell’attuale sistema internazionale; un atto politico in continuità con gli scopi originari del processo di unificazione europea e con il pensiero dei Padri fondatori, e pertanto in grado di produrre un diverso quadro giuridico dell’UE senza venir meno al rispetto e all’inclusione di tutti i Paesi membri.
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1 La contraddizione esistente tra l’interdipendenza di fatto tra i Paesi membri dell’area euro determinata dalla condivisione della moneta unica e dai fortissimi legami tra le economie nazionali, da un lato, e la mancanza di una politica economica e fiscale unica, dall’altro, è emersa con evidenza durante la crisi economica e finanziaria. Allo scoppio della crisi non esistevano strumenti né per affrontare il rischio di default cui i mercati hanno immediatamente esposto i Paesi che – per ragioni diverse – stavano subendo maggiormente la crisi, né strumenti per perseguire il superamento degli squilibri tra Stati membri e intervenire con proprie risorse per sanare detti squilibri e favorire crescita e investimenti. Nell’emergenza si è fatto ricorso a strumenti di carattere intergovernativo che hanno sia creato fondi di solidarietà, sia accresciuto i meccanismi di controllo sulle politiche di bilancio dei Paesi membri dell’eurozona, prima (di fatto) sottoposti soltanto alla disciplina dei mercati, rivelatasi del tutto inadeguata. Questi nuovi strumenti sono anche quelli che hanno reso possibile la politica monetaria espansiva della BCE, cui si deve la salvezza dell’euro. Il risultato complessivo, però, si è tradotto in un sistema in cui, per preservare la propria sovranità fiscale, gli Stati membri, se da un lato hanno confermato la necessità (dovuta non solo all’appartenenza all’euro, ma ancor più all’insostenibilità finanziaria di livelli di debito troppo elevati) di limitare la propria autonomia in materia di politica di bilancio, dall’altro hanno scelto di non accompagnare tale limitazione con un bilanciamento economico e politico attraverso la creazione di un vero governo a livello sovranazionale in grado di adottare le decisioni di politica economica e fiscale necessarie per lo sviluppo armonico di un’area monetaria unica. Il nuovo sistema prevede infatti anche meccanismi di condizionalità per incentivare gli indirizzi delle politiche economiche nazionali – che restano prerogativa assoluta degli Stati – ma ignora completamente l’esigenza di mettere in campo quelle politiche pubbliche sovranazionali per lo sviluppo, per la stabilizzazione, per la solidarietà, che i singoli Stati membri non possono attuare per carenza di risorse e di visione politica a livello nazionale.
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è stato istituito nel 2011 tramite un accordo intergovernativo sottoscritto dai Paesi della zona Euro allo scopo di garantire la stabilità dell’Eurozona mediante un fondo di sostegno ai Paesi in difficoltà durante la crisi dei debiti sovrani. La sua governance è di fatto nelle mani dei governi nazionali, i quali hanno delegato alla Commissione Europea un ruolo di supervisione e mediazione rispetto ad alcuni aspetti dell’esecuzione delle decisioni e degli interventi. Pur essendo previste diverse regole di voto, le decisioni sono prese praticamente sempre all’unanimità, e solo in casi particolarmente urgenti è prevista la possibilità di votazioni a maggioranza qualificata rafforzata (85%) delle quote del fondo. Questa maggioranza attribuisce di fatto un potere di veto a Germania, Francia e Italia.
Il MES ha una dotazione di 80 miliardi di Euro, ma in caso di necessità può arrivare ad attivare un capitale complessivo di 700 miliardi, cui gli Stati contribuiscono proporzionalmente al proprio PIL. Il MES rappresenta dunque uno strumento per rendere possibile la solidarietà tra i Paesi dell’Eurozona, e la sua riforma attualmente in discussione genera dei piccoli ma significativi passi in avanti, frutto di un compromesso politico tra le rigidità di alcuni Paesi e le necessità di altri.
La sterile polemica in Italia su presunti retroscena del negoziato e le imbarazzanti accuse di tradimento della patria, non affrontano nel merito e con la necessaria responsabilità il tema. La classe dirigente italiana deve essere consapevole di rappresentare un Paese che ha il terzo contributo più alto al MES, ma che al contempo ha il più alto debito pubblico europeo dopo la Grecia in proporzione al PIL. La riforma del MES va dunque inquadrata in una seria riflessione sul completamento dell’unione economica e monetaria e il futuro dell’Eurozona.
Lo scopo del MES è garantire supporto finanziario (nella forma di prestiti agevolati) agli Stati sottoscrittori in caso di problemi finanziari legati ad attacchi speculativi e shock asimmetrici. Tale supporto è condizionato alla definizione congiunta di politiche di riassetto del bilancio nazionale allo scopo di garantire che, almeno nel medio periodo, lo Stato che riceve aiuti sia in grado di tornare a finanziarsi autonomamente. Il MES, e le politiche della Banca Centrale Europea, hanno consentito di superare la crisi del debito assicurando la tenuta della moneta unica. I programmi di riforma legati al sostegno del MES e dei Fondi precedenti sono stati un grande successo in Irlanda, Spagna, Portogallo, e Cipro, che sono usciti dal programma di sostegno spesso in anticipo sui tempi previsti, e tornati rapidamente alla crescita. La Grecia rappresenta invece un caso più problematico.
Il progetto di riforma del MES discusso questa estate amplia i compiti del MES, trasformandolo nel backstop del fondo unico di risoluzione bancaria, completando il secondo pilastro dell’Unione Bancaria, in grado quindi di intervenire in caso di crisi bancarie, come anche l’Italia ha chiesto da anni. Rappresenta quindi un caso di mutualizzazione dei rischi, ovvero uno strumento di maggiore solidarietà europea.
La riforma confermerebbe inoltre i criteri con cui sarà possibile per gli Stati sottoscrittori accedere al fondo specificando meglio le procedure e la divisione dei compiti tra la governance del MES e la Commissione. In particolare
- Il MES potrà fornire aiuto anche ai Paesi in difficoltà finanziaria, quindi non necessariamente a rischio default, purché questi rispettino il Patto di stabilità e crescita;
- l’assistenza finanziaria può essere concessa solo in caso di valutazione positiva sulla sostenibilità del debito del Paese che richiede l’aiuto del fondo. La sostenibilità viene valutata dagli organismi del MES e dal Paese richiedente con la mediazione della Commissione Europea;
- l’intervento del MES può essere condizionato ad una ristrutturazione parziale del debito mediante lo strumento delle single-limb collective action clauses (strumento che comunque era già stato introdotto precedentemente – in Italia nel 2012 – di cui adesso viene semplificata la modalità di impiego). Peraltro, in passato la ristrutturazione del debito era una richiesta del Paese debitore, come nel caso della Grecia.
Il punto centrale della riforma è l’estensione del mandato al fine di completare l’unione bancaria, allargando la rete di sicurezza in caso di crisi. Piuttosto, i limiti del MES sono nella governance intergovernativa, dove prevalgono quindi gli interessi nazionali e non quelli dell’Unione economica e monetaria nel suo complesso. Inoltre, il MES non è sottoposto al controllo democratico del Parlamento Europeo e non è affiancato, sul lato fiscale, da un bilancio comune adeguato che possa garantire la stabilità e la crescita dell’Eurozona, e prevenire l’insorgere delle crisi. Sono questi i punti che bisognerebbe discutere. Occorre mettere al centro del dibattito la necessità di superare la logica intergovernativa nel quadro del MES, e dotare l’Unione di una vera fiscalità europea per alimentare un bilancio federale, sotto un legittimo controllo democratico europeo, in grado di avviare politiche di investimento e di crescita e finanziare beni pubblici europei, come la sicurezza, la transizione energetica e il Green Deal per un contrasto ai cambiamenti climatici socialmente sostenibile.
Come federalisti europei, riteniamo che la Conferenza rappresenti un’occasione per affrontare – come delineato dai rapporti approvati dal Parlamento europeo durante la scorsa legislatura (Bresso-Brock, 2016; Verhofstadt, 2016; Boge-Berés, 2017, e Jauregui, 2018) – le questioni-chiave:
- del sistema di governo dell’Unione e del rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo;
- della ripartizione delle competenze tra livello nazionale e livello europeo;
- della creazione di una capacità fiscale autonoma dell’Unione monetaria (UEM), insieme agli altri elementi necessari al suo completamento;
- del rafforzamento del sistema politico ed elettorale europeo come strumento per potenziare la democrazia europea, sia per poter avere veri partiti politici europei, sia per quanto riguarda il sistema degli Spitzenkandaten e la creazione di liste transnazionali;
- del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, facendo dell’Europa il leader mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici;
- della lotta alle diseguaglianze e della creazione di un mercato del lavoro europeo in grado di rispondere alle sfide della società digitale;
- della creazione di un efficace sistema di difesa dei diritti umani e dello Stato di diritto;
- del ruolo dell’Unione europea nel mondo globalizzato, inclusi il tema della politica estera e di sicurezza e la questione della difesa;
- del rapporto tra cittadinanza federale e identità nazionali;
- del metodo e del programma della riforma dell’Unione, che consenta la transizione verso un’Europa sovrana, anche nel caso che alcuni Stati membri non siano disposti ad accettarla.
Il ruolo del Parlamento europeo sarà decisivo per garantire che la Conferenza possa svolgere efficacemente il proprio compito. Se da un lato la Conferenza dovrà essere in grado di raccogliere le richieste dei cittadini e degli enti locali e regionali, dall’altro, al tempo stesso, dovrà saperli tradurre in una proposta complessiva coerente, attraverso un nuovo Trattato che permetta di superare le impasse che ancora indeboliscono l’Unione europea. Il difficile momento storico e politico e il sostegno della maggioranza dei cittadini devono essere uno stimolo per un’azione coraggiosa e lungimirante.
In quest’ottica, l’UEF si rivolge innanzitutto al Parlamento europeo – in quanto principale istituzione che, essendo composta da rappresentanti eletti direttamente dai cittadini, ha la legittimità e la responsabilità di promuovere una riforma politica e istituzionale, anche di natura costituzionale, dell’Unione europea – con le seguenti proposte sul metodo e sul programma dei lavori della Conferenza:
- la Conferenza dovrebbe essere convocata sulla base di una dichiarazione interistituzionale sottoscritta dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio (che deve deliberare a maggioranza), previa consultazione della Banca centrale europea, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni – o, almeno, da una dichiarazione congiunta della Commissione e del Parlamento europeo;
- la Conferenza dovrebbe trarre spunto, nella fase iniziale dei suoi lavori, dalle richieste di un’Unione europea più efficace e democratica avanzate dai cittadini europei nei Dialoghi e nelle Consultazioni dei cittadini, e confermate dai sondaggi dell’Eurobarometro;
- è evidente che l’attuale assetto istituzionale non fornisce all’Unione gli strumenti adeguati per rispondere efficacemente alle preoccupazioni dei cittadini. Solo creando una autentica capacità d’azione a livello europeo, vale a dire creando un’Europa sovrana, sostenuta da una responsabilità democratica, questo diventerà possibile. Nella misura in cui la Conferenza si troverà a tracciare la strada che l’Europa dovrà seguire, un modo per mettere concretamente in evidenza la necessità che l’UE si finanzi in modo autonomo e sia dotata di efficaci strumenti di governo (cosa che verosimilmente richiederà un adeguamento del quadro giuridico dell’UE o addirittura un quadro completamente nuovo) potrebbe essere quella di organizzare le discussioni e le relative decisioni della Conferenza in base ad aree politiche tematiche che portino a conclusioni operative. Questo dovrebbe far parte del mandato della Conferenza;
- per poter svolgere un ruolo guida, il Parlamento europeo dovrebbe anche richiedere di essere rappresentato nella Conferenza, idealmente da un’ampia delegazione di membri della Commissione affari costituzionali (AFCO). Parallelamente, quando sorgesse l’esigenza, il Parlamento potrebbe assistere la Conferenza nel redigere una proposta di Trattato costituzionale che includa in modo coerente tutte le riforme che risultassero necessarie nel corso dei lavori della Conferenza. Questo nuovo Trattato andrebbe a modificare il quadro giuridico dell’Unione europea e dovrebbe includere le nuove modalità di ratifica e di entrata in vigore, in modo da superare l’ostacolo dell’unanimità. Queste disposizioni, in ogni caso, devono essere pienamente compatibili con l’obiettivo di garantire l’unità, l’efficacia e la legittimità democratica dell’Unione europea;
- una delle condizioni che consentirebbero alla Conferenza di avviare un dialogo molto più ampio e rappresentativo con i cittadini dell’Unione europea, accentuando così la dinamica di orientare verso di loro le sue discussioni e le sue decisioni, sarebbe quella di prevedere la presenza stabile di una componente di cittadini e di rappresentanti delle organizzazioni della società civile dell’intera Unione europea (riprendendo così forme innovative di partecipazione dei cittadini sperimentate con successo in alcuni paesi europei per le modifiche costituzionali). Oltre a questo, la Conferenza dovrebbe tenere alcune delle proprie riunioni nei vari Stati membri, coinvolgendo rappresentati dei cittadini, della società e delle istituzioni sub-nazionali più vicine al territorio dello Stato in cui avviene la riunione. Inoltre, la Conferenza dovrebbe riconoscere le competenze delle organizzazioni della società civile e il loro ruolo nel facilitare il dialogo tra istituzioni e cittadini, nel rispetto del principio della democrazia rappresentativa;
- al fine di assicurare la cooperazione con i Parlamenti nazionali e di garantire il massimo consenso possibile attorno alle riforme di cui l’Europa ha bisogno, è essenziale prevedere la convocazione di una Assemblea interparlamentare sul futuro dell’Europa (sul modello delle Assise organizzate a Roma prima del Trattato di Maastricht). Questo permetterebbe alla Conferenza di portare i risultati ottenuti all’attenzione delle delegazioni dei Parlamenti nazionali, raccogliendone i commenti e le critiche, ed includendole tempestivamente nelle discussioni e nelle decisioni sul futuro dell’Europa;
- Il 70° anniversario della dichiarazione Schuman deve diventare un’occasione da sfruttare nel corso dei lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa.
(approvata all’unanimità)
Roma, 23-24 novembre 1029
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