Comunicato del MFE sull’elezione della nuova Presidente della Commissione europea
Il voto con cui il Parlamento ha ratificato la scelta di Ursula von der Leyen, prima donna nella storia a divenire presidente della Commissione, ha rivelato tutta la gracilità dei compromessi politici ed istituzionali su cui si regge l'Unione. La candidata è infatti passata con una risicata maggioranza, in cui è stato molto probabilmente determinante il voto di alcuni parlamentari euroscettici del gruppo ECR e di altri parlamentari non iscritti, a cominciare dagli eletti del M5S. Inoltre, nel momento in cui un partito dovrebbe dimostrare il massimo della compattezza e dell'unità, quello della fiducia all'esecutivo, i Socialisti e Democratici si sono spaccati in larga parte secondo appartenenze nazionali, rivelando quanto i partiti europei siano ancora una sommatoria di partiti nazionali. Infine i Verdi , che costituiscono forse il partito più federalista, hanno espresso un voto contrario, sancendo in tal modo la rottura del fronte europeista.
Ciò detto, non si possono negare né il fatto nuovo che la von der Leyen abbia negoziato a lungo con le famiglie politiche pro-europee, verso cui si è poi orientata con fermezza per avere la maggioranza, né che il suo discorso e le sue linee programmatiche contengano delle proposte innovative o significative. La Presidente ha parlato di un Green Deal europeo per rendere il nostro continente ad impatto zero entro il 2050, attivando ben 1.000 miliardi di investimenti per la riconversione ecologica ed imponendo una Carbon border tax ; di una riassicurazione europea contro la disoccupazione e di un salario minimo europeo; di una forte spinta per l'innovazione digitale e dell'introduzione di una Web tax; di rafforzare la politica migratoria comune, inclusa la revisione delle procedure di Dublino in materia di immigrazione ed asilo; di nuove iniziative per un'Unione europea della difesa; di concedere l'iniziativa legislativa al Parlamento durante il suo mandato; di abolire l'unanimità in materie come il clima, l'energia, gli affari sociali e la fiscalità e la politica estera. Resta il problema di costruire attorno a questo programma una chiara maggioranza che la sostenga nel Parlamento, ma soprattutto restano i problemi delle divisioni tra gli Stati, proprio su molti di questi temi, e di un bilancio del tutto inadeguato per raggiungere obiettivi così ambiziosi.
Questo evidenzia il fatto che l'Unione più che di un'alternanza ha bisogno di un'alternativa. Alternativa all'attuale assetto istituzionale, largamente improntato al primato del metodo intergovernativo. Alternativa all'attuale impotenza sulla scena mondiale, che corre il rischio di lasciare il Vecchio Continente alla mercé di vecchie e nuove potenze. Alternativa, insomma, ad uno status quo che condanna l'Europa al declino e all'irrilevanza. Ursula von der Leyen ha ripreso la proposta di Macron di una Conferenza sul futuro dell'Europa da avviare nel 2020 per una durata di due anni, anche se il modo in cui la definisce è ancora insoddisfacente, sia per i tempi troppo lunghi che prevede, sia perché sembra prefigurare nei lavori un ruolo troppo debole per le istituzioni europee e nazionali per poter far sì che la Conferenza possa davvero diventare un’occasione per preparare l’indispensabile rifondazione dell’Unione europea su due diversi livelli di integrazione, con un nucleo politico dotato di poteri e strumenti di governo autonomi dagli Stati, e il resto dei Paesi che continuano a collaborare nel quadro dell’attuale sistema comunitario.
La proposta, peraltro, non è ancora definita, come la stessa Presidente lascia intendere. Con la raccolta delle adesioni in campagna elettorale e poi con le manifestazioni dell'1 e 2 luglio a Strasburgo, i federalisti hanno posto le premesse per la ricostituzione del Gruppo Spinelli. Ora dobbiamo spingere il Gruppo Spinelli a conquistare l'egemonia politica del Parlamento e a preparare, in vista della Conferenza, l'avvio di quella battaglia costituente a cui la Conferenza stessa può fornire un'occasione. Forse l'ultima.