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25 APRILE 2016

LA RESISTENZA NON E’ ANCORA FINITA

 

Se gli europei oggi sono in difficoltà nell’affrontare e risolvere le varie crisi di fronte alle quali si trovano, la causa è da imputare alla loro divisione politica. Una divisione che essi hanno invano cercato di superare dopo la fine della seconda guerra mondiale senza però riuscire a sciogliere il nodo cruciale della creazione di una sovranità europea, ossia di uno Stato e di un governo federali. In questo modo essi hanno mantenuto un sistema formato da ventotto governi separati e da istituzioni europee deboli, prive dell’autorità che deriva dalla legittimazione espressa dal popolo europeo, che impedisce agli europei di affrontare in modo unitario le sfide continentali e globali di fronte alle quali si trovano. In questo senso la Resistenza non è ancora finita: l’obiettivo ultimo della guerra al nazi-fascismo, cioè la realizzazione di un’Europa libera e unita, che ha costituito il punto di riferimento della ricostruzione economica e politica della società, nonché della solidarietà tra i popoli, non è stato ancora raggiunto. Così, con il passare del tempo, in Italia e in Europa si perde la coscienza che la guerra di liberazione dal nazismo e dal fascismo ha rappresentato la grande occasione storica per porre le basi del superamento della dimensione nazionale degli Stati e della politica di potenza nei rapporti internazionali.

La coscienza dell’inadeguatezza degli Stati europei era radicata e profonda nelle generazioni uscite dalla seconda guerra mondiale. Il Presidente della Repubblica italiana Luigi Einaudi, durante il suo mandato, annotava nel suo diario, il primo marzo 1954: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza”. Ma questa coscienza non è bastata agli europei per cogliere l’occasione e portare a compimento l’unità. Nella fase del bipolarismo essi hanno potuto approfittare di un quadro internazionale favorevole al processo di integrazione europea, che ha permesso di dilatarne i tempi. Ma è ormai evidente che questa condizione favorevole si è esaurita, e il cambiamento dell’equilibrio mondiale incomincia a riflettersi sulle scelte e sulle vite degli europei. La crisi economico-finanziaria e quella dei rifugiati, sono emblematiche della situazione che stiamo vivendo.

Il fatto è che l’Europa non eviterà un destino di declino politico ed economico, o addirittura di implosione, se nel breve periodo non troverà al suo interno le energie morali e politiche, oltre che finanziarie, per creare un effettivo potere di governo sovranazionale non solo in campo economico, ma anche in tutti i settori che investono la sicurezza e che richiedono il passaggio operativo dagli Stati all’Unione nei relativi settori, fino alla creazione di una politica estera e di difesa genuinamente europea. I Paesi che hanno deciso di adottare l'euro non hanno più alibi: spetta a loro realizzare l'unione o disfare l'Europa.

Il punto di partenza per costruire davvero l’unione consiste ormai nel perseguire l’unità politica dell’eurozona attraverso il completamento delle quattro unioni, con un bilancio ad hoc per l’area euro e con l’attribuzione di un ruolo effettivo di governo sovranazionale alla Commissione, (in cui rientra anche la creazione della figura di Ministro del Tesoro), con il controllo democratico da parte del PE in composizione ristretta quando sono in questione competenze e poteri specifici della zona euro, e con la riforma del Consiglio. Ma questo implica da un lato che paesi come la Francia, la Germania e l’Italia, da cui storicamente è dipeso e continua a dipendere ogni progresso sulla strada dell’unificazione, assumano la responsabilità dell’iniziativa; e, dall’altro lato, che maturi una larga partecipazione e mobilitazione popolari a favore dell’unità europea, come accadde nelle fasi cruciali del processo di avanzamento dell’integrazione europea nel secolo scorso. Per questo è indispensabile che le istituzioni nazionali ed europee, i partiti politici, le organizzazioni ed i movimenti democratici, sindacali e della società civile si mettano all’opera per costruire uno schieramento di forze che rivendichi l’adozione di soluzioni europee e non nazionali alle sfide di fronte alle quali ci troviamo; che denunci la retorica di grandi piani e politiche che dovrebbero essere europei, ma che sono de facto nazionali in quanto, non potendo contare su strumenti e risorse autonomi europei, rimangono sulla carta; che prema sui governi nazionali e sulle istituzioni europee affinché venga rilanciato il processo costituente federale europeo con la partecipazione democratica dei cittadini.

Nel settembre 1943, sull’Unità europea, che da allora è l’organo del Movimento Federalista europeo, si potevano leggere queste parole: “In una situazione così oscura è ben difficile orientarsi per dare delle parole d’ordine. Ma da mille indizi sembra che gli indugi stiano per aver termine… Non è tempo ora per recriminare su quello che avrebbe dovuto esser fatto e per stabilire le responsabilità. Verrà il momento anche per questo. Quel che importa ora è affrontare i tragici eventi che si presentano inevitabili e saper quel che dobbiamo fare. La nostra liberazione è oggi inscindibilmente connessa alla liberazione di tutta l’Europa: guerra al nazismo!”.

Analogamente, oggi, quel che importa è prendere coscienza del fatto che per gli europei non ci sarà un futuro di progresso e di benessere, né tantomeno alcuna possibilità di condividere con gli altri grandi poli continentali della politica mondiale le responsabilità di far fronte alle sfide globali, senza la Federazione europea.

Dipende solo dagli europei farla davvero.

  


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