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Il Trattato di Lisbona (art. 17) stabilisce che il Consiglio europeo, tenuto conto delle elezioni europee, propone il candidato alla Presidenza della Commissione europea e il Parlamento europeo lo elegge. E' la procedura in uso nelle democrazie parlamentari con questa variante: nell'UE il Consiglio europeo svolge il ruolo di Capo dello Stato collegiale.

Prima delle elezioni, i principali gruppi politici hanno scelto i loro candidati alla Presidenza della Commissione, con il proposito di offrire ai cittadini la possibilità di scegliere, oltre ai membri del Parlamento europeo, anche il Capo dell'esecutivo europeo. Inoltre, dal Parlamento europeo è emersa l'indicazione che la Presidenza della Commissione europea sarebbe spettata al leader del gruppo politico cui gli elettori avrebbero attribuito il maggior numero di seggi. Questo leader, ci piaccia o no, è Juncker. Ciò che non ci piace è soprattutto il fatto che Juncker non si è candidato (così come Tsipras) alle elezioni europee (questo limite indica un miglioramento da proporre per le prossime elezioni europee).
Un altro limite da considerare sta nella struttura multipolare del sistema partitico europeo che ha impedito agli elettori di scegliere direttamente con il voto il Presidente della Commissione. L'elezione di quest'ultimo dipenderà dalla formazione di una coalizione e di una maggioranza in seno al Parlamento europeo. Di conseguenza, se Juncker non riuscirà a realizzare questo obiettivo, il tentativo dovrà essere compiuto da un altro dei candidati indicati dal Parlamento europeo.
Naturalmente questa scelta dovrà essere bilanciata, in termini di nazionalità e di raggruppamento politico, con quella delle altre cariche in scadenza. E' però importante che la scelta del Presidente della Commissione sia affidata al Parlamento europeo, perché essa mette in rilievo l'esistenza di un circuito di fiducia tra elettori, Parlamento europeo e Commissione, avvicina le istituzioni europee ai cittadini e rafforza il ruolo di governo della Commissione. E' ovvio che la formazione della democrazia parlamentare europea sarà il frutto di un processo lungo e difficile. In questi giorni essa sta compiendo i primi passi.
La battaglia è importante, perché il Parlamento europeo sta cercando di togliere ai governi il potere di scegliere chi guiderà la Commissione e ciò rappresenta un passo verso un assetto più democratico dell'UE e la trasformazione dell'UE in senso federale. Che questa sia la posta in gioco è rivelato dal fatto che Cameron, il leader del gruppo di governi che si oppone alla parlamentarizzazione della procedura di nomina del Presidente della Commissione, minaccia l'uscita del Regno Unito dall'UE in caso di sconfitta: esattamente quanto chiedono l'UKIP in Gran Bretagna e il FN in Francia. In altri termini, si delinea la stessa linea di divisione tra forze del progresso e forze della conservazione definita dal Manifesto di Ventotene: quella tra federalismo e nazionalismo. E' questo il fronte sul quale si è attestato da settant'anni il Movimento federalista europeo.
Il governo italiano, che si appresta ad assumere la responsabilità di presiedere l'UE, e le forze democratiche devono schierarsi senza esitazioni a fianco del Parlamento europeo e fare la scelta del progresso, della democrazia europea, della trasformazione dell'UE in senso federale.

  


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