Le elezioni europee appena concluse sono state caratterizzate dalla sfida lanciata dai cosiddetti partiti sovranisti alla sopravvivenza dell’Unione europea come progetto di unificazione sovranazionale. Non era mai successo in passato, e questo fatto, insieme alla vicenda catastrofica della Brexit, ha creato un quadro nuovo.
Tre sono gli elementi fondamentali che emergono dai risultati elettorali e che devono essere evidenziati.
Il primo è che i cittadini europei hanno raccolto la sfida. La crescita della partecipazione al voto – con l’eccezione significativa dell’Italia – ci dice, ancor prima dei risultati elettorali, che i cittadini hanno ritenuto importante far sentire la loro voce e vivere l’elezione come un momento di democrazia vera.
Il secondo è che i cosiddetti sovranisti almeno per questa volta non hanno vinto. I loro numeri sono stati contenuti quasi ovunque – anche qui con l’eccezione dell’Italia, questa volta insieme al Regno Unito –; persino in Francia, dove il partito di Marine Le Pen è stato di misura il primo partito, ha comunque totalizzato un paio di seggi in meno rispetto al 2014. Le forze anti-europee sono dunque cresciute di una ventina di seggi in tutto, ma, Indebolite anche dalla loro inevitabile frammentazione, non hanno numeri tali da poter pesantemente influire sui futuri equilibri dell’Unione.
Il terzo elemento è che alla crisi più o meno profonda nei diversi Paesi dei partiti tradizionali ha corrisposto l’ascesa di forze europeiste (quando non addirittura federaliste) di stampo liberale e ambientalista. Non solo i verdi infatti sono i vincitori morali di questa tornata elettorale, ma lo sono anche i liberali che vedono crescere di molto il loro peso politico, soprattutto laddove sono portatori di un disegno di rilancio politico dell’Europa. Questo è un segnale positivo se si crede che in Europa sia urgente approfondire l’unità economica e politica dei Paesi che sono disponibili a farlo. Sembra difficile nascondere che i due schieramenti tradizionali pagano l’immobilismo in tal senso.
Nel Parlamento si aprono ora i giochi per costruire le nuove alleanze, e una delle prime prove sarà la nomina del Presidente della Commissione. Secondo il sistema degli Spitzenkandidaten, la carica dovrebbe andare a Manfred Weber. Ma quale maggioranza si può formare nel PE intorno a lui? La sua elezione corrisponde davvero allo spirito dei risultati elettorali? Oppure Weber rappresenta proprio le posizioni di chi tenta disperatamente di mantenere l’Unione europea nello stato attuale e rifugge da una maggiore integrazione politica sovranazionale – ossia dalla posizione che è la vera vincitrice morale del voto? La vera novità di queste elezioni non è forse che tanti cittadini hanno chiesto un’Europa più unita e più capace di fare politiche per realizzare una green economy e una maggiore equità sociale? Questo implica aprire un processo di riforme, un processo – comunque lo si declinerà – necessariamente costituente e destinato a portare ad un’Unione europea caratterizzata da due diversi livelli di integrazione: uno che dovrà corrispondere ad un’unione politica sovranazionale, composta dagli Stati che vorranno farne parte, dotata di un bilancio proprio autonomo e governata su base federale; l’altro limitato al mercato unico e basato sul mix di integrazione comunitaria e di cooperazione tra Stati che caratterizza oggi l’Unione.
E’ sulla base dell’elaborazione di questo progetto e sulla condivisione della volontà di pervenire a definire e a realizzare questo obiettivo che deve formarsi la nuova maggioranza nel PE, e che tale maggioranza deve forzare il Consiglio a condividere la scelta del candidato alla Presidenza.
Nulla sarebbe più autolesionista che fissarsi su formule che impediscono che un disegno politico di questo tipo prenda corpo nel quadro del nuovo Parlamento. La legislatura deve partire prendendo slancio proprio dal mandato che i cittadini hanno voluto affidare ai nuovi eletti. La tragedia della Brexit e la caduta ingloriosa dell’Italia in una spirale di becero nazionalismo – che porta a trionfare un partito che sfida persino la Chiesa e i suoi valori fondanti – sono lì a dimostrare che la follia e l’autodistruzione possono imporsi, e che la politica, se non dà le risposte giuste, può perdere il controllo e avvitarsi in situazioni autodistruttive. I cittadini europei hanno dimostrato di non volerlo, e si meritano dei parlamentari, e un’Europa, all’altezza delle loro aspettative.