LACRIME E PROCEDURE
Theresa May ha dato le dimissioni tra le lacrime. Lacrime che potevano essere evitate, se fin dall'inizio di questa incredibile vicenda si fosse guardata in faccia la realtà. Invece già nella campagna referendaria si è fatto abuso di fandonie e falsificazioni. O di sogni irrealizzabili, come il ritorno ai fasti imperiali del passato.
Il voto popolare è divenuto così il feticcio a cui sacrificare ogni altra considerazione. La nuova inquilina di Downing Street si affrettò infatti a proclamare: “Brexit significa Brexit”. Come si trattasse di passare dalla guida a sinistra alla guida a destra. Sembrava che l'unica cosa importante fosse fissare la data per il divorzio, dando per scontato che due anni sarebbero sicuramente bastati per condurre in porto un accordo con l'Unione. Un agreement su base paritetica, secondo la ferma convinzione del governo di Sua Maestà. Serviva un uomo navigato ed un perfetto conoscitore dei negoziati internazionali come Pascal Lamy per formulare la corretta previsione: “Non ci sarà alcuna trattativa, ma solo una procedura.” Come quelle che si devono seguire in internet per acquistare un biglietto aereo o ferroviario, in cui non puoi tralasciare nemmeno un passaggio. Vien da ridere leggendo le dichiarazioni di quell'indefinibile personaggio che risponde al nome di Nigel Farage, che, da un lato, se la prende con il capo negoziatore dell'UE Michel Barnier per il suo fanatico europeismo e, dall'altro, confessa che avrebbe voluto averlo dalla sua parte come difensore degli interessi del Regno Unito. Come se fosse solo questione di persone e non di rapporti di forza.
La mancata ratifica dell'accordo da parte di Westminster ha costretto il governo inglese a chiedere delle proroghe e a subire l'onta di dover convocare le elezioni europee. I risultati si conosceranno domenica con tutti gli altri, ma le conseguenze di questa serie di errori sono già sotto gli occhi di tutti. Il sistema partitico inglese, uno dei più stabili dell'intero Occidente, è stato disintegrato. Le divisioni e le contrapposizioni si sono naturalmente estese all'opinione pubblica e all'intero elettorato, con una polarizzazione che non lascia certo ben sperare per la coesione sociale. La Scozia minaccia di indire un nuovo referendum per ottenere l'indipendenza e rimanere così nell'UE. Nel caso di un sempre più probabile No deal incombe poi la minaccia più grave: una ripresa del conflitto nell'Irlanda del Nord.
Queste prospettive fanno passare in secondo piano le pur sincere lacrime di Theresa May e dovrebbero spingere gli elettori a non seguire i tanti apprendisti stregoni che anche al di qua della Manica propongono di seguire l'esempio inglese. Dovrebbero però anche suggerire ai partiti che si definiscono europeisti ed agli Stati che hanno una maggiore consapevolezza dei pericoli che stiamo correndo che è venuto il tempo di mettere mano ad una profonda riforma delle istituzioni europee. Prima di dover fare i conti con altri Boris Johnson o Nigel Farage.