Come preannunciato nei giorni scorsi dai governi di Ungheria e Polonia, lunedì gli ambasciatori dei due Paesi hanno bloccato l’approvazione dell’accordo raggiunto dai rappresentanti del Consiglio e del Parlamento europeo sul Quadro finanziario pluriennale dell’Unione Europea per gli anni 2021-2027.
I due ambasciatori hanno posto il veto all’aumento del tetto alle risorse proprie dell’Unione per manifestare la loro opposizione al nuovo meccanismo, voluto dal Parlamento europeo e dagli altri 25 governi, che consentirebbe all'UE di tagliare i fondi a un paese che viola lo Stato di diritto.
Lo stallo che si è venuto in tal modo a creare è particolarmente grave, perché se non si trova un accordo, si è costretti a rimandare l’entrata in vigore del nuovo bilancio pluriennale e dell’intero Recovery Plan, ad esso collegato, rinviando in tal modo anche l’erogazione dei fondi del Next Generation EU agli Stati membri. Al tempo stesso, raggiungere un compromesso diventa ora molto difficile. Di fatto, o Ungheria e Polonia fanno un passo indietro e accettano di ritirare il veto (e si predispongono a convincere i rispettivi parlamenti nazionali a ratificare l’accordo sul tetto delle risorse proprie), oppure è l’Unione europea a dover cedere al ricatto dei governi ungherese e polacco. Se la prima ipotesi al momento è poco realistica, la seconda sarebbe disastrosa: vorrebbe dire che l’Unione rinuncia a difendere i propri valori fondanti e i principi su cui si basa, accettando così di ridursi ad una organizzazione di Stati sovrani che rimangono uniti semplicemente sulla base di un mero interesse economico.
Lo scontro che si sta consumando ha dunque un significato politico profondo: è l’ennesima dimostrazione che l’assetto dell’Unione europea non è adeguato rispetto alle sue ambizioni. Un’Unione che si vuole una comunità di valori non può trovarsi in balia di un’esigua minoranza dei suoi membri che negano tali valori e mantengono al tempo stesso il potere di sottrarsi a qualsiasi pressione, paralizzando l’Unione se cerca di agire in modo coerente con le sue aspirazioni. Se il progetto comune europeo, fondato sulla solidarietà e sull’autonomia strategica, sta prendendo sempre più forma come risposta alla crisi pandemica, è evidente al tempo stesso che per realizzarsi deve tradursi in un nuovo assetto politico-istituzionale, che può solo essere di natura federale: un’unione politica che deve partire senza farsi bloccare dal tabù dell’unanimità, accettando anche il fatto che all’inizio non tutti gli attuali Stati membri dell’UE acconsentiranno di entrare in una vera unione politica.
Per questo è necessario che la Conferenza sul futuro dell’Europa venga avviata al più presto. Si tratta del quadro che le istituzioni europee e i governi hanno individuato a questo scopo, anche per coinvolgere i cittadini.
Su questa base il MFE sta chiedendo al governo italiano di impegnarsi nelle sedi europee per fare in modo che il lancio della Conferenza avvenga entro la fine dell’anno. E’ tempo che l’Unione europea smetta di essere ostaggio di chi non condivide neppure il principio dello Stato di diritto.