La politica è prigioniera di quell’Europa a due velocità che essa stessa ha contribuito a creare. E lo ha fatto nel tentativo di conservare la sovranità a livello nazionale, e di rinviare sine die la realizzazione della federazione europea. Per questo è così difficile oggi uscire dalla crisi del debito sovrano. Una crisi che ha posto sul tappeto i problemi del governo della fiscalità e del bilancio dell’Eurozona in quanto tale, e della legittimità democratica sovranazionale di un simile governo. La soluzione di questi problemi passa oggi attraverso il dibattito sulla necessità o meno di cambiare il Trattato esistente.
Il Trattato costituisce al tempo stesso: il vincolo istituzionale con il quale gli europei si erano illusi di poter governare se stessi e le crisi nell’era della globalizzazione; l’alibi per giustificare la loro impotenza nel far fronte alla situazione d’emergenza di fronte alla quale ci troviamo. I termini della questione, già noti da quando si diede vita alla moneta europea, incombono ormai su governi, istituzioni e partiti. Essi sono stati ben messi in luce in diversi commenti ed editoriali, e recentemente anche dall’editoriale di Ferdinando Riccardi su l’Agence europe del 2 dicembre (L'Europe à deux vitesses est-elle devenue incontournable ?). Essi possono essere così riassunti.
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La revisione del Trattato attraverso una procedura accelerata è impossibile: “une révision qui se limiterait à simplifier quelques procédures est possible par la voie d'une simple Conférence intergouvernementale, sans passer par une Convention et par la ratification de tous les États membres. Mais les Britanniques ont déjà indiqué qu'ils ne sont pas disponibles pour une telle opération ; M. Cameron avait déjà annoncé qu'en cas de révision, son pays ferait valoir les modifications qu'il préconise, notamment dans le sens de renforcer les autonomies nationales. Le Royaume-Uni rejette cette situation et n'accepterait ni l'Union politique, ni la centralisation des pouvoirs à Bruxelles”. D’altra parte, una revisione “visant notamment à durcir les disciplines budgétaires ne plaît pas non plus aux États membres qui ne font pas partie de la zone euro ou qui, en son sein, sont en difficulté. Elle n'est pas praticable”. In ogni caso, una revisione attraverso una procedura normale, con la convocazione di una Convenzione e il processo di ratifica da parte di tutti gli Stati membri, sarebbe troppo lunga e complessa, cioè incompatibile con i tempi di intervento richiesti dai mercati e dalla crisi.
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Alla luce di queste difficoltà i paesi dell’Eurozona, e in primo luogo i governi di Francia e Germania, stanno affannosamente cercando un’alternativa, come riassume sempre Riccardi: “Une coopération renforcée au titre du Traité de Lisbonne? Un accord intergouvernemental entre les pays de la zone euro? Un «pacte de stabilité» à l'intérieur de cette zone, réservé aux États membres qui sont ou seront en mesure de respecter les disciplines de l'euro?” Ma senza successo, nessuno di questi paesi ha infatti ben chiaro qual è l’obiettivo politico da raggiungere – fare uno Stato federale -, né ha maturato la consapevolezza e la volontà che è necessario un nuovo Trattato (cosa che dipende solo ed esclusivamente da loro).
3. Sia la Francia sia la Germania non riescono ad uscire dal groviglio di contraddizioni e difficoltà oggettive che paesi come la Gran Bretagna e la Polonia, per diversi motivi ed interessi, continuano a porre sul tappeto. “A l'Elysée, come hanno scritto Arnaud Leparmentier, e Philippe Ricard su Le Monde, “M. Cameron se serait montré plus intéressé par un accord au sein de la seule zone euro, sur le modèle de l'espace Schengen, dont ne fait pas partie le Royaume-Uni, afin de ne pas être contraint de repasser devant son Parlement, ou d'avoir à organiser un référendum” (Britanniques et Polonais s'inquiètent de la mise en place d'une Europe à deux vitesses, 3/12/11)”. Ma in questa prospettiva, prosegue l’articolo di Le Monde, “le premier ministre britannique s'effraie d'être marginalisé face une zone euro plus intégrée, et susceptible, selon lui, de pousser les feux de la régulation financière contre les intérêts de la City de Londres. Incohérence ? M. Cameron réclame à la fois de nouvelles dérogations et un droit de regard sur certaines décisions de la zone euro”. Per questo Sarkozy, scrivono gli editorialisti di Le Monde, sarebbe sempre più “ouvert à l'hypothèse d'une nouvelle mouture de traité à dix-sept, même s'il soutient officiellement Mme Merkel en vue d'une révision à vingt-sept. "En réalité, Paris et Berlin travaillent sur les deux options, c'est la seule chance d'avoir un compromis à vingt-sept, en menaçant le Royaume-Uni de marginalisation", dit un haut fonctionnaire européen”.
4. In questa situazione è vero che la Cancelliera Merkel appare “plus réservée que M. Sarkozy sur un noyau dur à dix-sept : elle entend préserver les institutions communautaires, donner un rôle à la Cour de justice pour punir les Etats peu vertueux, et veut ménager les intérêts des candidats à l'euro, les voisins de l'Allemagne”. Ma deve a sua volta fare i conti con il suo vicino orientale. Per questo, emblematicamente, mentre il Presidente Sarkozy si occupava del fronte britannico, la Cancelliera Merkel si incontrava con il Presidente polacco Tusk, che a sua volta reclama un ruolo per la Polonia nel definire le nuove eventuali regole dell’Eurozona, senza tuttavia farne ancora parte. Ma il governo polacco, non avendo soluzioni nuove da proporre “préfère une révision des traités à vingt-sept, dont l'un des objectifs serait de placer la Commission européenne au coeur du gouvernement économique”.
In questo quadro c’è da aspettarsi un impulso innovativo da parte dei partiti politici? La risposta è no quando si considerano le posizioni finora espresse al Parlamento europeo dai rappresentanti delle principali famiglie politiche. Il dibattito svoltosi al Parlamento europeo il 30 novembre non ha fatto altro che confermare lo stato confusionale – ammantato di retorica – in cui si trovano le grandi famiglie politiche e l’assenza di proposte concrete per sciogliere il nodo dell’Europa a due velocità. Queste posizioni sono così riassumibili:
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Intervenendo a nome del PPE, Paulo Rengel, ha escluso l’urgenza di una riforma dei trattati. E a proposito della governance economica ha detto: “J'entends par là qu'il ne suffit pas qu'elle se fasse entre deux, voire trois pays, voire dans le cercle, de plus en plus restreint d'ailleurs, des pays du triple A. Non, cette gouvernance doit concerner l'ensemble des pays de la zone euro +”. Concludendo poi che la governance dovrebbe basarsi sul metodo comunitario e sul giudizio della Commissione per denunciare alla Corte di giustizia eventuali violazioni delle regole.
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Per i socialisti-democratici europei è invece intervenuto Martin Schulz, prossimo Presidente del Parlamento europeo, che ha ribadito quanto detto dal collega del PPE: “l'urgence n'était pas de réviser les traités européens mais de rétablir la confiance dans la zone euro”. E ha così proseguito: “Une modification du traité ne va pas régler les problèmes. On a besoin de stabilité et de confiance…Une révision du traité prendrait au moins deux ans avec une convention, une conférence intergouvernementale et des ratifications dans les 27 États membres, y compris par référendum”. Quindi, proprio perché “l'urgence, c'est de stabiliser la zone euro”, ha sottolineato Martin Schulz, occorre attuare subito una gestione comune del debito, attraverso il lancio di euro-obbligazioni, e chiarire il ruolo della BCE. E’ però significativo che questa posizione mal si concilia con quella espressa da un suo collega della famiglia socialista e attualmente candidato alle presidenziali francesi, François Hollande, che il giorno prima aveva respinto in una conferenza stampa la proposta tedesca di seguire la strada di un maggior rigore di bilancio nella zona euro e di un maggior ricorso alla Corte di giustizia. “Je n'accepterai jamais” aveva infatti detto Hollande “qu'au nom du contrôle des budgets nationaux, au nom de la coordination des politiques budgétaires, la Cour de justice européenne puisse être juge des dépenses et des recettes d'un État souverain”.
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Per quanto riguarda la posizione del terzo maggior gruppo al Parlamento europeo, l’ALDE, questa ha visto da un lato Guy Verhofstadt puntare il dito contro la Francia e la Germania, ma senza fare proposte concrete: “ce n'est pas à cause de la Grèce ou de l'Italie, c'est à cause de l'incapacité de Mme Merkel et de M. Sarkozy d'affronter la crise et de trouver une solution »; è la Cancelliera tedesca, ha ribadito Verhofstadt che “résiste à donner un rôle plus accru à la BCE et est même contre l'idée d'une solidarité accrue”. D’altro lato Andrew Duff, che in quanto Presidente dell’UEF avrebbe forse dovuto esporre con maggior cautela le proprie posizioni e tenere maggiormente conto del ricco dibattito svoltosi in seno al Comitato federale dell’UEF solo un paio di settimane prima, nel corso del quale il problema del governo dell’Eurozona e della mobilitazione dell’opinione pubblica erano stati al centro della discussione, ha invece insistito sulla necessità di riformare il Trattato attraverso la convocazione di una Convenzione rapida (da tenersi tra marzo e settembre del 2012), per permettere “une mutualisation de la dette souveraine; un renforcement des pouvoirs de la Commission en matière de recommandations aux pays pour corriger les déficits publics; la mise en place d'un (euro)groupe de parlementaires européens pouvant légiférer dans le domaine fiscal (tax laws)”.
Cosa occorrerebbe fare per uscire da questa palude? Innanzitutto bisogna considerare come il fatto che sia nel campo dei governi sia in quello dei partiti è difficile trovare la lucidità, la coerenza, la credibilità politica, la possibilità di mobilitare le opinioni pubbliche che sarebbero necessarie per costruire quelle solide istituzioni democratiche e federali indispensabili per governare la fiscalità, il bilancio, l’economia oltre alla moneta nell’Eurozona, non significa affatto che la situazione non possa cambiare, anche repentinamente, proprio sulla spinta della crisi e a seguito della maturazione della volontà politica in un certo numero di forze politiche e di governi. In questo senso i federalisti possono svolgere un importante ruolo agendo ai diversi livelli per promuovere e diffondere la presa di coscienza che bisogna realizzare una federazione a partire dall’Eurozona nell’Unione-confederazione e che, per questo, bisogna mettersi nell’ottica di elaborare un nuovo Trattato per l’Eurozona coinvolgendo i cittadini, e lasciando ad un momento successivo la soluzione del problema di regolare i rapporti tra la nuova entità e le altre istituzioni (come del resto è sempre avvenuto nei momenti di avanzamento nel processo di unificazione europea).
In questo processo, le forze politiche ed il governo italiani possono certamente giocare un ruolo d’avanguardia e d’impulso rispetto alle altre forze politiche e agli altri governi. Ma per farlo dovrebbero far proprio quanto il Movimento Federalista Europeo va loro proponendo. E cioè, “che di fronte al rischio del fallimento del progetto europeo e della disgregazione dell’UE, che avrebbero conseguenze catastrofiche sia per l’Europa sia per l’Italia, la sola alternativa è quella di procedere verso
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l'istituzionalizzazione di un'Europa che proceda a due velocità, con l’avvio di riforme che assicurino la coesistenza tra i paesi che hanno adottato e/o adotteranno l’euro e quelli che hanno scelto e/o sceglieranno di mantenere la propria moneta nazionale;
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la realizzazione di un'unione federale tra i paesi dell’Eurozona, incominciando a creare un governo dell’economia tra i paesi dell’euro, dotato di poteri reali e legittimato democraticamente e pertanto in grado di fare prevalere gli interessi generali e gli obiettivi di lungo periodo”.