Il Consiglio europeo che si è svolto giovedì ha confermato i pronostici e si è concluso rapidamente avendo trovato un accordo sulle nomine cosiddette apicali (la candidata alla presidenza della Commissione europea, il Presidente del Consiglio europeo, l'Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza). Era questo l’unico punto che poteva presentare qualche piccola incertezza, perché i negoziati sull’Agenda strategica 2024-2029 si erano già chiusi positivamente, e così per quanto riguarda la scelta di rimandare ogni riflessione seria sulle riforme di cui l’UE ha bisogno per realizzare almeno una parte delle ambizioni di quell’Agenda strategica, destinata altrimenti a rimanere flatus vocis.
La prima osservazione da fare in merito a questo Consiglio europeo riguarda pertanto il fatto che i Capi di Stato e di Governo – cui è stata trasmessa il 18 dicembre la richiesta del Parlamento europeo di avviare una Convenzione per discutere la riforma dei Trattati, sulla base della procedura prevista dai Trattati stessi – si sono permessi ancora una volta di ignorare l’istituzione che rappresenta i cittadini (e che infatti ha agito sulla base delle conclusioni della Conferenza sul Futuro dell’Europa, in cui si erano espressi proprio i cittadini) e di ignorare in questo modo l’interesse generale europeo, arroccandosi in difesa del proprio piccolo e impotente potere senza alcun senso di responsabilità verso i cittadini. Se c’è una lezione che bisogna trarre da queste elezioni europee appena svoltesi, è che i cittadini cercano in tutti i modi di trasmettere il messaggio che vogliono un’Europa diversa: un’Europa più sovranazionale, secondo la maggioranza che si è comunque confermata, mentre però avanza anche il consenso verso le forze che vogliono smantellarla. La mancanza di iniziativa del Consiglio europeo che si arrocca nel mantenimento dello status quo, di fatto, avvantaggia queste ultime, e spalanca loro le porte perché possano continuare a picconare l’Unione europea. Nel Consiglio europeo non si vuole capire che l’Unione europea e gli Europei sono destinati a diventare marginali, fragili e sicuramente più poveri se non si ha il coraggio di avviare, con la Convenzione richiesta dal Parlamento, un vero dibattito politico europeo, trasparente e democratico, per confrontarsi su come affrontare i problemi della sicurezza, della tenuta sociale, della competitività, ecc., e per identificare gli interessi strategici comuni ed elaborare una visione condivisa del futuro dell’Europa.
La seconda osservazione riguarda i negoziati che ora si aprono tra von der Leyen e le forze politiche in Parlamento per concordare il programma e le priorità della legislatura. Il criterio fondamentale attorno a cui si sta formando la coalizione che comporrà la sua maggioranza è quello pro-europeo, che scavalca quello tradizionale della divisione delle forze in base alla categoria della destra e della sinistra. Questo accresce ulteriormente la responsabilità della nuova Commissione, ed in particolare della Presidente – contrariamente a quanto è avvenuto su questo tema al termine della legislatura in chiusura – circa il sostegno da dare alla via indicata dal Parlamento europeo con la richiesta di aprire una Convenzione per la riforma dei Trattati. Questo punto è stato condiviso nei programmi elettorali di tutte le forze politiche che ora si apprestano a sostenere von der Leyen, e come tale deve essere preso in considerazione dalla futura Presidente della Commissione.
La terza osservazione riguarda l’Italia e il dibattito confuso e strumentale che è stato alimentato nel nostro Paese. Ci sono forze di governo come la Lega che si permettono di gridare allo scandalo democratico (al “colpo di Stato”, addirittura) perché nel Parlamento europeo si prefigura una maggioranza sulla base dei risultati elettorali. Sempre lanciando accuse totalmente false sul fatto che si è voluta ignorare l’Italia, questi rappresentanti del governo non sono nemmeno in grado di riconoscere che la maggioranza decretata dagli elettori nel nuovo Parlamento europeo coincide con quella che governa nella maggioranza degli Stati membri dell’UE e che è quindi proprio sulla base del principio democratico che stabilisce i diritti-doveri per la maggioranza nelle istituzioni, che si riconosciuto il peso delle dinamiche parlamentari europee.
La conclusione che bisogna trarre da tutto ciò – e che la Presidente Meloni dovrebbe fare propria – è che per contare come leader in Europa bisogna stare attenti al collocamento europeo della forza politica che si rappresenta. Se ci si allea con i nemici dell’Europa – o addirittura ci si presenta come il potenziale leader dello schieramento delle destre largamente antieuropee – si rimane all’opposizione, fuori dalla attuale maggioranza. Questo non influirà sulla posizione che spetterà all’Italia nella Commissione, perché l’Italia come Paese fondatore ha sempre avuto (a prescindere dal colore del suo governo) figure di rilievo nelle istituzioni; ma influirà sull’autorevolezza di Meloni all’interno delle istituzioni europee. Senza dimenticare che in questo momento l’alternativa al sistema in vigore, nel caso di una vittoria delle forze antieuropee abbastanza ampia da cambiare la maggioranza di governo in Europa, vorrebbe dire trasformare l’Unione europea in un concerto di nazioni deboli e impotenti, e quindi indebolire il Mercato unico e la coesione da cui l’Italia trae grandi benefici, rendere l’Europa ancora più paralizzata laddove servirebbe che agisse con efficacia, in una parola l’inizio della fine.
Non sembra questo in realtà l’obiettivo della Presidente Meloni. Per questo è tempo di uscire dalle ambiguità del rivendicare un’Europa “delle nazioni” che sia però anche autorevole e “forte soggetto della politica internazionale”, che faccia meno regole, ma faccia meglio la politica. Per uscire dall’angolo in cui è fatalmente finita, la nostra Presidente del Consiglio deve capire che l’interesse dell’Italia, ma anche il suo interesse politico come Capo di Governo, è nell’aprire un confronto democratico con i partner europei e le istituzioni europee su quale Europa serve oggi e quindi quale Europa si vuole andare a costruire.
Pavia-Firenze, 1° luglio 2024