Secondo il sociologo tedesco Ulrich Beck, la vecchia dicotomia tra federazione europea e stati nazionali sarebbe superata e ormai irrilevante per il futuro dell'Europa. Sarebbe arrivato il momento di dar vita a un'Europa cosmopolita, aperta e democratica. Purtroppo Beck non si preoccupa di spiegare in che cosa dovrebbe consistere questa Europa cosmopolita, né come la si dovrebbe costruire. L’ambiguità è forse spiegabile con il fatto che Beck parte da una falsa alternative di fronte alla quale, secondo lui, sarebbero gli europei: l’alternativa tra una entità istituzionale indefinita, che chiama Europa, e delle entità ben definite, gli Stati nazione. “Fino a quando l'alternativa sarà tra Europa e Stati nazione”, scrive Beck, “senza la possibilità di una terza via, il solo pronunciare la parola ‘Europa’ scatenerà la paura dei popoli”. Questa "terza via non ancora contemplata", secondo Beck, sarebbe quella di “un'Europa cosmopolita e di una Germania cosmopolita”. L’intenzione di Beck di contrastare la crescente disaffezione dei tedeschi nei confronti dell’Europa è senz’altro lodevole. Ma perché allora non ha usato l’argomento politico, ben più forte e sicuramente più comprensibile per un’opinione pubblica come quella tedesca che vive in uno Stato federale, di fare un’Europa federale? L’arcano si svela quando si considera la preoccupazione principale di Beck in questo articolo: spiegare la distinzione tra nazione e nazionalismo. “I tedeschi che davanti alla strisciante disintegrazione dell'Ue chiedono di ‘tornare agli stati nazione’”, scrive Beck, “sono ingenui e anti-patriottici: ingenui perché ignorano i costi incalcolabili che la fine dell'Ue comporterebbe, e anti-patriottici perché mettono a repentaglio la Germania. Al contrario, comprendere che il futuro della Germania è cosmopolita significa fare il bene sia della Germania sia dell'Europa. Una Germania cosmopolita può imporre anche un nuovo modello di sovranità. La verità è che l'Europa non mette a rischio la forza delle nazioni, ma la accresce.
Quando è necessario, gli stati membri hanno voce in capitolo in Europa e oltre. Possono influenzare direttamente le scelte politiche europee. In più, i loro problemi interni – il crimine, l'immigrazione, lo sviluppo agricolo e la cooperazione scientifica e tecnologica – vengono risolti in gran parte grazie all'Ue. Una Germania cosmopolita significa anche la nascita di un nuovo concetto di identità e d'integrazione, in grado di garantire una pacifica coesistenza transfrontaliera. Tutto ciò sarà possibile senza sacrificare l'individualità e le differenze sull'altare dell'omogeneità nazionale” (Die Zeit, Un’Europa cosmopolita per non andare a fondo, 1 luglio 2011, http://www.presseurop.eu/it/content/article/752411-un-europa-cosmopolita-non-andare-fondo). In che cosa dovrebbero consistere sul piano istituzionale l’Europa e la Germania cosmopolite, non viene spiegato. Forse perché spiegarlo non è considerato importante, o perché viene dato per scontato. Sta di fatto che in questo modo la “terza via” risulta politicamente inconsistente, oltre che impraticabile, e non meriterebbe di essere presa in considerazione se Beck non avesse l’influenza che ha nel mondo della cultura e della politica tedesca ed europea e quindi non avesse anche la responsabilità, in quanto sociologo molto ascoltato, di esprimere giudizi politici meno approssimativi (o, nel dubbio, di non esprimerne affatto). E’ in ogni caso curioso constatare come Beck, affrontando il tema del futuro dell’Europa, non trovi di meglio che rifarsi ad un cosmopolitismo democratico fondato sul diritto naturale, e non alla tradizione del pensiero federalista kantiano o dei Federalist papers americani, oppure del più recente federalismo europeo (Lothian, Robbins, Monnet, Spinelli). Ulrick Beck ignora la cultura federalista? Oppure, conoscendola, non la considera adeguata per affrontare e risolvere i problemi in cui si dibattono i paesi europei? Non lo sappiamo. Certo è che non basta riproporre una formula cosmopolitica settecentesca in chiave moderna – post unificazione tedesca – per rilanciare l’Europa, suscitare energie, mobilitare cittadini. Non è infatti con il cosmopolitismo di Schlegel di due secoli fa, i cui limiti sono stati ben descritti e analizzati da Friedrich Meinecke nel suo libro del 1922 su Cosmopolitismo e Stato nazionale che l’Europa potrà uscire dall’impasse. Beck, al pari di Schlegel, si illude di poter fondare “una nazione culturale, indipendente, sul cui suolo fioriscano una serie d’organizzazioni statali indipendenti, ognuna con la sua caratteristica ma tutte fraternamente affini” (Friedrich Meinecke, Cosmopolitismo e Stato nazionale, La Nuova Italia, Firenze 1975, pag. 77). Il fatto è che la reale alternativa di fronte alla quale si trovano gli europei, e quindi anche i tedeschi, consiste ormai nel fare al più presto una vera federazione europea in una più ampia confederazione oppure mantenere ad ogni costo quelle sovranità nazionali in campi cruciali come l’economia, la fiscalità, la sicurezza che li stanno portando a fondo. Solo realizzando il principio federale tra gli Stati oltre che negli Stati si può sperare di affermare il cosmopolitismo.