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Nicholas Stern, autore qualche anno fa di un importante rapporto sui rischi climatici e sulla necessità e urgenza da parte degli europei di investire maggiormente per ridurre le emissioni di anidride carbonica (http://en.wikipedia.org/wiki/Stern_Review), lancia un accorato appello dalle colonne del Financial Times ammonendo sul fatto che l’Unione europea sta accumulando in questo campo un ritardo preoccupante rispetto ad altre parti del mondo (The Eu risks falling behind the green century, in Financial Times 4 luglio 2011).

Alla luce di quanto gli europei sono stati finora in grado di fare, sembra ormai irrealistico l’obiettivo di ridurre entro il 2050 dell’80-90 per cento rispetto ai livelli del 1990 le emissioni di anidride carbonica. A meno di non ipotizzare ulteriori aggravamenti degli effetti della crisi economica che, già nel 2009, hanno ridotto del 7 per cento le emissioni di anidride carbonica in Europa rispetto all’anno precedente.

Sul piano globale, nota Stern, “Today, emissions match a path that, if sustained for the rest of the century, would bring a 50-50 chance of a warming of more than 4°C – a temperature not seen on Earth for more than 30m years, risking severe damage and dislocation to the lives and livelihoods of hundreds of millions, if not billions, of people. The risk is a warmer world of severe and extended conflict, and disruptive migration, where any attempt at “high-carbon growth” is ultimately likely to destroy itself”. La Cina, la Corea del Sud stanno superando l’Europa negli investimenti nelle nuove tecnologie. E’ questa consapevolezza che ha spinto la Germania a fare cavaliere solitario, siglando accordi bilaterali con la Cina su questo terreno. Il rischio è che gli europei, come a Copenhagen qualche anno fa, vadano alla prossima conferenza ONU sul clima di Durban divisi, senza un piano e con tante strategie nazionali. Da questo punto di vista non basta purtroppo auspicare, come fa Stern, che il Parlamento europeo chieda un aumento dal 20 al 30 per cento (sempre rispetto al 1990) della riduzione dell’emissione di anidride carbonica nell’Unione europea entro il 2020, sperando che ciò contribuisca a fare pressione su Commissione e Consiglio europei. Un voto del Parlamento europeo in questo senso andrebbe sicuramente nella buona direzione. Ma poi le politiche per implementare queste indicazioni resterebbero nelle mani dei governi nazionali. Gli europei hanno bisogno di un buon piano strategico sull’energia, basato su impegni finanziari e risorse credibili, capace di promuovere cooperazioni avanzate con gli altri poli mondiali da cui dipende il futuro del clima. Un piano che dovrebbe essere perseguito ed attuato da un governo federale europeo legittimato democraticamente. Proprio quanto l’Unione europea non è in grado di darsi. Per questo è necessario continuare a rivendicare l’obiettivo della Federazione europea e un vero piano europeo di sviluppo, attraverso una mobilitazione delle forze politiche e sociali sul terreno della costruzione di un solido nucleo di Europa politica in seno all’UE, almeno nell’ambito dell’Eurozona.

  


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