Interventi
Il problema della riforma istituzionale e di un nuovo trattato per salvare l’euro e rafforzare politicamente, fiscalmente ed economicamente l’Eurozona è ormai all’ordine del giorno. Ma i pareri su come e con quali strumenti realizzare questi obiettivi sono diversi (istituzioni europee, governi nazionali e partiti hanno opinioni diverse in proposito). Per esempio, in occasione di una conferenza organizzata da Friends of Europe, il Presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso ha dichiarato che un cambiamento dei trattati non rappresenta « une solution à nos problèmes actuels ». Ed ha così proseguito: « Nous pouvons être plus ambitieux en matière d'accroissement de la force de frappe de nos instruments sans modifier le traité. Nous pouvons stimuler la croissance sans modifier le traité » (Agence Europe 13-10-11). Tuttavia subito dopo ha riconosciuto che per esempio la creazione di eurobonds, che lui auspica, richiederebbe una modifica dell’intera struttura istituzionale dell’Europa. Invece, che ci sia bisogno di un nuovo Trattato sembrano ormai convinti CDU, SPD, FDP e Verdi in Germania (A Lasting Solution to the Crisis? German Politicians Call for Changes to EU Treaties
INIZIATIVA FRANCO-TEDESCA: IL GOVERNO ITALIANO PARTE CON IL PIEDE SBAGLIATO
Di fronte alle prospettive di un ulteriore aggravarsi della crisi che, come ha ammonito il Presidente della BCE Jean Claude Trichet di fronte al Parlamento europeo, ormai intacca la credibilità del sistema bancario dei principali paesi europei, la Francia e la Germania hanno annunciato il 9 ottobre di voler proporre entro fine mese delle soluzioni definitive sul piano finanziario ed istituzionale. Queste proposte non sono state ancora rese pubbliche ma, come hanno detto la Cancelliera Merkel ed il Presidente Sarkozy durante la loro conferenza stampa congiunta, esse sono state trasmesse agli altri governi nazionali per poter poi essere ufficialmente presentate, discusse ed eventualmente adottate in occasione del prossimo Consiglio europeo (che forse non a caso è stato rinviato di una settimana).
Leggi tutto: Comunicato stampa sull'iniziativa Franco-Tedesca e sulla posizione del governo italiano
“I don’t think little steps are credible here,” said Kenneth Rogoff, a Harvard economist who co-wrote a book about debt crises with Ms. Reinhardt. “There needs to be a United States of Europe at the end of this, and it may well not include everyone in the euro zone.”
“They were thinking they had 20 years to get there,” he said, “and instead they have 20 weeks”, The New York Times, September 29th, 2011.
La richiesta dell'Autorità palestinese di essere riconosciuta come Stato membro dell'ONU sta attirando l'attenzione dell'opinione pubblica sulla 66a sessione dell'Assemblea generale dell'ONU. La proposta si inquadra in una situazione del Medio Oriente in rapida evoluzione a causa della primavera araba, del crescente isolamento internazionale di Israele, del declino dell'influenza degli Stati Uniti nella regione e dell'irrilevanza politica dell'UE sul piano internazionale. Essa è sostenuta da un'ampia maggioranza dell'Assemblea generale, ma rischia di scontrarsi con il veto degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza. L'ammissione della Palestina nell'Assemblea generale con lo status di osservatore, come premessa per diventare nei prossimi anni, un membro effettivo dell'ONU, rappresenta una condizione necessaria per riconoscere i diritti di questo popolo e consentirgli di partecipare, in condizioni di parità con gli altri Stati, al processo di pace. Fin dal 1980, il Movimento federalista europeo sostiene il diritto del popolo palestinese all'indipendenza.
La richiesta palestinese si inquadra nel contesto di un progetto che risale alla costituzione dello Stato di Israele: quello della convivenza di due Stati (Israele e Palestina), del ritiro di Israele dagli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme est, del rimpatrio almeno parziale dei profughi e del ritorno ai confini precedenti la guerra del 1967. La situazione è complicata per il fatto che Hamas, che controlla la striscia di Gaza dopo l'evacuazione decisa dal governo Sharon, non si sente rappresentato dall'Autorità nazionale palestinese e contesta la richiesta di quest'ultima di essere riconosciuta come Stato membro dell'ONU. Inoltre, non riconosce lo Stato di Israele ed è considerata un'organizzazione terroristica da Israele e dagli Stati Uniti. D'altra parte, Israele, accerchiato da un mondo arabo ostile nel quale l'Iran, impegnato in un programma nucleare, dichiara di volerne la distruzione, è spinto ad affidare la propria sicurezza alla sola forza militare.
Qui sta la ragione del protrarsi del conflitto israelo-palestinese. La sua soluzione esige un cambiamento della situazione internazionale che attenui le tensioni e garantisca giustizia per la Palestina e sicurezza per Israele.
La convivenza pacifica tra i popoli israeliano e palestinese esige in primo luogo l'intervento di una forza di interposizione europea sotto l'egida dell'ONU, analogamente a quanto è avvenuto in Libano, ma attivando un comando europeo unico secondo le modalità previste dalla “cooperazione strutturata permanente” (art. 46 del Trattato di Lisbona). Questa è la via che consentirebbe a un gruppo di Stati dell'UE di mettere in azione una forza di intervento rapido e di diventare così un interlocutore autorevole delle parti in conflitto e una garanzia di sicurezza per l'intera regione.
L'intervento militare sarà efficace a condizione che sia accompagnato da un'iniziativa diplomatica diretta a riunire una Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Medio Oriente, per la riduzione degli armamenti, la creazione di una zona denuclearizzata nella regione, la cooperazione economica, tecnologica e culturale.
Nello stesso tempo, poiché gli Stati nazionali non costituiscono più nel mondo contemporaneo una base sufficiente a garantire né lo sviluppo economico né l'indipendenza politica, è vitale avviare nella regione un processo di integrazione a partire da un primo nucleo di cui facciano parte Israele, Palestina, Giordania e Libano. Il punto di partenza potrebbe essere una “Comunità dell'acqua, dell'energia e delle infrastrutture”, proposta da Delors quando era Presidente della Commissione europea. Essa si ispirava al precedente della CECA, che mirava a mettere in comune le risorse strategiche – il carbone e l'acciaio – per avviare un processo di unificazione che rendesse impossibili nuove guerre. E' un processo ancora incompiuto, che ha impedito nuove guerre entro i confini dell'UE, ma che può ancora fallire se si dovesse disgregare l'Unione monetaria. Per questo, i federalisti sono impegnati nel costruire un nucleo federale nell'UE, che indicherebbe al resto del mondo la via per federare una regione coperta da più Stati. Come la pacificazione tra Francia e Germania è riuscita dopo l'epoca delle guerre mondiali, così oggi, a 63 anni dalla nascita dello Stato di Israele, nel momento in cui i popoli della regione scelgono la democrazia e la diversità di Israele, fino a pochi anni fa il solo paese democratico nel Medio Oriente, è in via di superamento, è possibile e necessario avviare la pacificazione della regione.
21 Settembre 2011
Un governo di solidarietà nazionale
per fronteggiare l'emergenza
Appello al mondo politico italiano
L'esigenza di risanare la finanza pubblica è tornata all'ordine del giorno in Italia a causa dell'aggravarsi della crisi del debito e delle richieste dettate dalla Banca centrale europea per la manovra economica. I provvedimenti proposti dal Governo e approvati dal Parlamento non sono sufficienti a rassicurare i mercati né tantomeno a rilanciare la crescita e l'occupazione.
Da una parte, servono misure di carattere strutturale: una riforma del sistema tributario che ridistribuisca in modo equo la pressione fiscale, una razionalizzazione della spesa pubblica all'insegna dell'efficienza e dell'eliminazione degli sprechi, la lotta all'evasione fiscale. D'altra parte, l'obiettivo di stimolare la crescita può essere perseguito solo nei termini di un'articolazione nazionale di un piano europeo. Con un'economia integrata a livello europeo e una moneta unica, qualsiasi piano di sviluppo nazionale risulterebbe inefficace. Mentre il risanamento della finanza pubblica è una responsabilità che incombe al governo italiano – anche perché il “fondo salva-stati” istituito nell'Eurozona non disporrebbe delle risorse necessarie –, il rilancio dello sviluppo economico è una responsabilità prevalente dell'Unione europea, alla quale si devono attribuire non solo le risorse ma anche i poteri necessari.
In mancanza di questi due indirizzi di politica economica, l'Italia è condannata al declino e alla perdita di competitività, all'arretramento sociale, i giovani sono privati della fiducia in un futuro migliore, si alimenta la crisi della democrazia e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Affrontare la politica di austerità e i relativi sacrifici, combattere l'evasione fiscale, la corruzione e la criminalità organizzata, promuovere la riforma dello Stato sono compiti cui si può adempiere solo con il sostegno di un ampio consenso popolare. Nella storia dei popoli ci sono momenti in cui la normale alternanza di governo e opposizione deve essere sospesa per affrontare gravi situazioni di emergenza. La situazione nella quale si trova l'Italia ha queste caratteristiche.
Di conseguenza, il Movimento Federalista Europeo chiede la formazione di un governo di solidarietà nazionale per fronteggiare l'emergenza. Questa è la condizione per fare riconquistare all'Italia il consenso dei cittadini e l'autorità
Leggi tutto: Lettera del presidente del Movimento federalista europeo alla classe politica italiana
L’8 settembre il Daily Telegraph aveva diffuso la notizia secondo cui Francia, Germania, Italia, Spagna e Polonia avevano rivolto una richiesta formale alla Signora Ashton per avviare la creazione di un quartier generale comune ('Big five' tell Baroness Ashton to bypass Britain over EU military HQ). Questa notizia era stata commentata lo stesso giorno da un esponente conservatore con un altro articolo, An EU military HQ would undermine Nato, For the EU every crisis is an opportunity che si apriva con questa affermazione: “As the euro crisis unfolds, those pushing for EU fiscal and economic government have now seen another opportunity to take forward the process of European integration using the Lisbon Treaty's "permanent structured co-operation" to fast-track EU defence policy. You cannot get closer to the bone of national sovereignty than our armed forces”.
Su questa notizia è ritornato oggi Le Monde
“La necessità ci libera dall’imbarazzo della scelta”. Con questa citazione del Marchese di Vauvenargues da parte di una senatrice francese si è chiusa la seduta del Senato sull’approvazione francese delle misure per il salvataggio della Grecia decise il 21 luglio scorso. Si veda in proposito la stesura provvisoria del dibattito:
(http://www.senat.fr/seances/s201109/s20110908/s20110908001.html).
Alcuni passaggi del dibattito, a tratti acceso, meritano di essere citati. Da un lato quello del Rapporteur général della commissione finanze, Philippe Marini (UMP),
Leggi tutto: “La nécessité nous délivre de l'embarras du choix”
Secondo Der Spiegel (Berlin Lays Groundwork for a Two-Speed Europe, http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,784348,00.html), il governo di Angela Merkel avrebbe allo studio un nuovo trattato per i paesi dell’Eurozona: “In addition to the club of 27 nations that primarily manages the common domestic market as it has done until now, Merkel envisions a tight alliance of the 17 euro-zone members -- one which would unify their fiscal, budgetary and social policies. This would create a two-class club, raising questions like: What happens to the European Commission? Will it still be responsible for economic matters in the euro zone, or will there be a new organization? The same questions apply to the European Parliament and the European Court of Justice in Luxembourg. Would all of these institutions have to be duplicated, meaning even more bureaucracy, effort and expense? … New bodies are to be formed to expedite the integration of the Euro Group. Germany and France want to make themselves more independent of the existing structures in the EU and no longer be solely dependent on the resources of the European Commission”.
Vale la pena considerare tre passaggi, fra gli altri, di un interessante articolo di Ulrike Guérot per l?European Council for Foreign Relations (Germany in Europe: Is France ready for more Europe?, 1st September 2011):
Qualche giorno fa Jacques Delors ammoniva gli europei dalle pagine di diversi quotidiani che stavano danzando sull’orlo del baratro. Due notizie, rilanciate dalla Reuters ieri (http://www.reuters.com/article/2011/08/29/eu-greece-collateral-idUSLDE77S0HN20110829) e in prima pagina oggi su Le Monde (La gestion de l'euro et celle de nos cafetières), insieme all’audizione del presidente della BCE Trichet ieri alla Commissione finanze del Parlamento europeo – nel corso della quale in sostanza ha rivolto un appello ai paesi dell’Eurozona a fare presto almeno a mettere in atto le decisioni già prese (http://www.ecb.int/press/key/date/2011/html/sp110829.en.html) –